AGRICOLTURA ITALIANA EROICA DURANTE LA PANDEMIA

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AGRICOLTURA ITALIANA EROICA DURANTE LA PANDEMIA, MA MESSA IN GINOCCHIO DALLE “CAVALLETTE” DI COOP, GDO E CIMICI ASIATICHE

IVANO TONOLI, SEGRETARIO DEL PARTITO UNIONE CATTOLICA: SIAMO AL FIANCO DELLE OLTRE 700.000 AZIENDE RURALI CHE HANNO GARANTITO GLI APPROVVIGIONAMENTI DI CIBI E BEVANDE ALLE FAMIGLIE SFIDANDO LE ACCUSE DI CAPORALATO E GLI ALTISSIMI COSTI DIRETTI E INDIRETTI DEI DPCM GRILLINI CHE HANNO AUMENTATO A DISMISURA LO STRAPOTERE ORAMAI MONOPOLISTICO DELLA DOMANDA DI MERCATO ESPRESSA DALLE GRANDI CENTRALI COOPERATIVE E DISTRIBUTIVE AL DETTAGLIO LE QUALI NON RIDUCONO I PREZZI FINALI E ADDOSSANO L’INTERO ONERE DELLE PROPRIE VIRTUALI PROMOZIONI SULLE SPALLE DEI PICCOLI PRODUTTORI

PIENA SOLIDARIETÀ A COLDIRETTI PER LA DUPLICE DENUNCIA CONTRO LE PENALIZZAZIONI INFERTE DAL GOVERNO COMUNISTA CINESE A DANNO DEI PRODOTTI ZOOTECNICI MADE IN ITALY E CONTRO I RINCARI DEI LISTINI NEL CARRELLO DEI GENERI DI PRIMA NECESSITÀ

I NUMERI DEI DANNI INFERTI AL SETTORE BEVERAGE AND FOOD DEL NOSTRO PAESE SONO SPAVENTOSI: NEL 2020 SEGNATO DAL COVID, SFRUTTANDO LE LIMITAZIONI ALLA CIRCOLAZIONE DELLE MERCI, LA PIRATERIA AGROALIMENTARE HA RAGGIUNTO LA SOGLIA DI ALLARME DEI 100 MILIARDI DI GIRO D’AFFARI – OSSIA 2 VOLTE E MEZZO IL VALORE DELLE NOSTRE ESPORTAZIONI ENOGASTRONOMICHE IN UN ANNO – INCAMERATI DALLA “MAFIA DEL TAROCCO” CON IL FENOMENO DELL’ITALIAN SOUNDING, E SOLTANTO IN CINA SONO 600 I MARCHI DI PRODOTTI FUORVIANTI E FASULLI PROPOSTI AI CONSUMATORI

NEL FRATTEMPO, SEBBENE DIMINUITE NON SI SONO FERMATE LE IMPORTAZIONI INCONTROLLATE IN ARRIVO SULLE NOSTRE TAVOLE, CHE IN UN ARCO DI 12 MESI NORMALI PRE-CORONAVIRUS ERANO ORMAI MEDIAMENTE ATTESTATE SOPRA I 40 MILIARDI DI EURO, PRINCIPALMENTE A CAUSA DEGLI ODIOSI REGIMI DI QUOTE IMPOSTI DALLA UE A TUTTO PRIVILEGIO DEI PAESI NORDICI CHE DA NOI PIAZZANO LE PROPRIE INSEGNE DI GRANDE DISTRIBUZIONE

DIVENTA DECISIVO DARE PIENA APPLICAZIONE AL PIÙ PRESTO ALL’ENCICLICA LAUDATO SI’ DI PAPA FRANCESCO PER UNA TUTELA E UNA PROMOZIONE INTEGRALE DEI PRODUTTORI LOCALI, SIA IN ITALIA CHE NELLE ECONOMIE EMERGENTI DEL PIANETA DA DOVE ORIGINANO I CASI DI SFRUTTAMENTO DEL SUOLO, SOTTOPAGAMENTO E PRECARIETÀ DEL LAVORO CHE IN MISURA SEMPRE MAGGIORE E PIÙ VICINA CI COINVOLGONO

Un conto da 140 miliardi di euro di mancati ricavi medi annuali a discapito dei produttori agricoli e agroalimentari Made in Italy. Più di 3 volte l’export enogastronomico messo a segno dal nostro Paese nel corso degli stessi dodici mesi.

Una perdita impressionante che corrisponde all’incirca a 450.000 posti di lavoro mai creati, più di quelli statisticamente venuti meno nel tragico 2020 del covid concluso soltanto sul calendario.

Questo è il mix letale, la somma funesta rappresentata dal risultato fra minori esportazioni e minori vendite domestiche delle aziende italiane del settore primario. Le quali sono state sottoposte, nella prima e seconda ondata pandemica, a un doppio “stress test”: le più pressanti richieste della GDO per poter rifornire quotidianamente sul versante del “fresco” i carrelli delle famiglie in coda, e le obiettive difficoltà ad attuare una produzione continuativa a causa sia della ridotta disponibilità di manodopera nei campi – con buona pace dei sovranisti e populisti incapaci di garantire il governo diplomatico di un’immigrazione che sia finalmente liberata dal giogo delle mafie e dei cinesi – sia degli accresciuti costi di alcune materie prime necessarie alle colture per effetto della chiusura delle frontiere.

Come Partito Politico Unione Cattolica e come Confederazione datoriale e sindacale Confedes, siamo assolutamente al fianco degli oltre 700.000 imprenditori delle campagne che nel tempo della pandemia sono stati al pari di altre categorie professionali e lavorative dalle forze dell’ordine, militari e di vigilanza alla sanità. Per questo, confermiamo vicinanza e solidarietà alla Federazione nazionale e alle sezioni regionali dei Coltivatori Diretti per la denuncia coraggiosa di questi ultimi contro la Cina comunista, la quale si permette di bloccare ai propri valichi doganali e di autorizzare il deperimento e la distruzione di importanti quantità di prodotti dell’eccellenza zootecnica nostrana, con buona pace degli accordi e dei trattati, perfettamente inutili come già avevamo sottolineato, firmati poco tempo prima con la Commissione Europea. La quale Commissione Europea non soltanto tace del tutto su questo gravissimo episodio specifico, foriero di creare ulteriori precedenti molto pericolosi per le sorti del nostro commercio internazionale, ma nulla dice e niente per opporsi all’altra e parallela circostanza dei 600 marchi di finto made in Italy circolanti nel paese del Dragone nella stessa maniera in cui il virus di Wuhan circola fra di noi.

Se i mercati esteri non offrono schiarite nel segno della lotta all’Italian Sounding – piaga certificata dallo stesso ministero degli Affari esteri il cui ministro titolare Di Maio dubitiamo però conosca la reale traduzione e la devastante portata dell’espressione -, quelli interni segnano venti addirittura tempestosi, a partire da una conseguenza direttamente provocata dal “virus addizionale” dei DPCM di Conte, incapaci di frenare i contagi ma capacissimi di accelerare crisi aziendali, cessazioni seriali di attività, emorragie occupazionali, azzeramenti nelle riserve finanziarie dei soggetti non garantiti. Lo stop pressoché totale e completo del canale HORECA, costituito da una miriade di hotel, ristoranti e bar a prevalente conduzione personale e familiare, privati delle somme risarcitorie necessarie e memorizzati dal governo Conte – Gualtieri unicamente per l’arrivo di bollette e cartelle esattoriali sotto saracinesche ormai abbassate e arrugginite, ha nel concreto consegnato i destini e le sorti – non magnifiche da prima dello shock pandemico – dei piccoli produttori allo strapotere della domanda oramai monopolistica espressa dalle grandi centrali distributive e cooperative al dettaglio, che non riducono i listini finali e addossano l’onere delle proprie virtuali promozioni di prezzo sulle spalle dei fornitori dei beni cibari, creando una sorta di “caporalato” nei confronti di questi ultimi attraverso il sistema delle aste ribassiste aventi per oggetto i prodotti da acquisire.

Se già prima dello scoppio dell’epidemia da virus cinese, il valore aggiunto del settore agricolo aggiornato sino a fine 2018, e relativo alla formazione della catena valoriale dalla terra alla tavola, risultava con un segno “meno” prossimo ai 5 punti percentuali, a fronte delle variazioni positive conseguite dalla ristorazione e dalla distribuzione di varia dimensione, per il 2020 è da quantificarsi un’impennata spaventosa della sola forma al dettaglio della GDO, destinata ad assorbire la quota di valore che era della ristorazione e a rendere più profondo il passivo degli operatori rurali, ancora meno in grado di remunerare il proprio impegno e quello dei lavoratori e dei capitali investiti. Non solo: ogni 100 euro di consumi alimentari nominali, mentre una componente pari al 20 per cento va allo Stato, che non la reinveste per rafforzare la capacità produttiva e contrattuale del settore primario, un’altra addirittura vicina al 40 per cento viene assorbita dal settore della logistica dove molto attive e poco controllate sono le grandi centrali cooperative al centro delle cronache e degli scandali quotidiani relativi a casi di concorrenza sleale, di sottopagamento dei padroncini e di elusione ed evasione fiscale consumata o tentata. In definitiva, di questi 100 euro pagati alla cassa dal consumatore con il carrello, appena il 17 per cento circa di un utile complessivo di poco più di 5 – si dicano cinque – euro viene incamerato dalla nostra agricoltura!

Le responsabilità della grande distribuzione rilevano contestualmente sotto l’altro non marginale aspetto connesso al dilagare, soltanto attenuato ma non frenato durante i mesi della pandemia, dell’import cibario proveniente dall’estero e in particolare da Paesi orientali e asiatici privi dei nostri medesimi elevati standards in fatto di ingredienti, utilizzo di pesticidi, controlli e certificazioni e che, attraverso il ruolo di compratore dominante ed esclusivista svolto dalla GDO, vengono posti in diretta concorrenza con i nostri produttori in una spirale al ribasso non limitabile, sebbene sul punto pare stia intervenendo l’autorità antitrust garante della concorrenza e del mercato che ha altresì riaperto il dossier della mega-acquisizione di Auchan da parte di Conad al centro di agitazioni sociali e sindacali in tutta Italia. Prima dello scoppio del covid, le importazioni alimentari in Italia avevano toccato addirittura punte di 42 miliardi annui, lo stesso controvalore del nostro export nelle stesse categorie merceologiche.

Lo scenario è inquietante ai limiti dell’horror: coop e marchi della commercializzazione al dettaglio su larghissima scala, di provenienza francese e tedesca, piantano le proprie bandierine attraverso l’apertura di centri e megamarket che vengono realizzati su suoli italiani un tempo coltivabili (il consumo di suolo in Italia è pari ogni anno a 40 campi da calcio!) e ulteriormente compressi dalla necessità di rendere raggiungibili queste strutture distributive con una viabilità diretta e veloce, mentre i centri storici urbani e le vie dei negozi e delle botteghe sono sempre più isolati.

Nel silenzio più totale dei governi sovranisti e populisti, i Paesi nordici – detti “frugali” ma che navigano nella più completa opulenza – oltre ai vincoli di bilancio e ai vari MES sanitari ci impongono quote e limiti produttivi finalizzati a scoraggiare il lavoro degli Agricoltori italiani, creando così le condizioni per un abbandono dei suoli e magari per una loro riconversione urbanistica verso il terziario commerciale completando il processo di colonizzazione del nostro Paese e delle nostre tavole. Non è casuale che – di fronte alla totale assenza di Conte indegno e inesistente presidente di turno del gruppo dei G20 – alla firma dell’accordo di principio del trattato UE – Cina fossero presenti, per l’Europa, oltre a Ursula Von Der Leyen e Angela Merkel, il presidente francese Emmanuel Macron.

Mentre la via della Seta, sottoscritta dal movimento 5 stelle, diventa sempre di più la via della peste virale e dei pesticidi contenuti in alcuni prodotti agricoli cinesi che giungono a noi, la ministra alle Politiche agricole Bellanova, fra l’altro ex sindacalista, nel corso della pandemia ha più volte elogiato il ruolo della grande distribuzione per la continuità delle forniture alle famiglie, dolosamente dimenticando che se gli altri canali di approvvigionamento e di offerta non hanno potuto svolgere analoga “funzione sociale” è soltanto perché il governo Conte o li ha fatti chiudere con la forza, senza dare loro la possibilità di lavorare in sicurezza, o li ha privati di qualsiasi aiuto risarcitorio degno di tale nome causando una catena di cessazioni che si protrarrà anche dopo l’emergenza sanitaria.

La ministra Bellanova, anziché elogiare impropriamente la GDO, dovrebbe spiegare i motivi per i quali il “recovery plan” – la cui presentazione tarda ancora, caso unico in Europa – toglie dal piatto dell’agricoltura i fondi che, per direttiva europea stessa, dovrebbero spettare ai nostri imprenditori rurali per la transizione verde delle colture, il rafforzamento delle infrastrutture idriche ed energetiche nei campi, la diversificazione produttiva e la promozione commerciale delle migliaia di eccellenze Dop, Igp, Doc e Docg, regionali e locali che formano il nostro vanto indiscusso nel mondo e non a caso sono finite nel mirino delle “mafie del tarocco” a fronte delle quali, peraltro, non viene spiegato come mai lo stesso governo così tanto giustizialista non abbia tuttora recepito le proposte dell’osservatorio nazionale sulle Agro-mafie, note dal 2015 (al pari di quelle antimafia del Codice Gratteri) per l’equiparazione dei reati di pirateria agroalimentare e di Italian Sounding ai reati di associazione mafiosa.

Il Partito Unione Cattolica e Confedes si impegnano pertanto a mettere in campo, non soltanto per modo di dire, in affiancamento alle federazioni della piccola e media impresa primaria, tutti i mezzi per dare attuazione alla Dottrina Sociale della Chiesa che fin dal 1891, con l’ulteriore decisivo rafforzamento impresso dal nostro amatissimo Papa Francesco grazie all’Enciclica “Laudato Sii” del 2015 e alla lettera “Fratelli Tutti” promulgata nello scorso ottobre ad Assisi, pone l’agricoltura al centro delle strategie di equo sviluppo economico e sociale inclusivo planetario, riconoscendo il valore imprescindibile dei piccoli produttori locali di cui deve essere rinforzato il potere di contrattazione commerciale e di aggregazione per poter sviluppare le innovazioni necessarie alla salvaguardia della vocazione agricola dei suoli e alla capacità degli stessi di assicurare alle famiglie una giusta, equa e continuativa offerta di prodotti sani e tracciabili.

Concludiamo con lo straordinariamente attuale discorso indirizzato dal Santo Padre Bergoglio ai Coltivatori Diretti in data 31 gennaio 2015:

“L’opera di quanti coltivano la terra, dedicando generosamente tempo ed energie, si presenta come una vera e propria vocazione. Essa merita di venire riconosciuta e adeguatamente valorizzata, anche nelle concrete scelte politiche ed economiche. Si tratta di eliminare quegli ostacoli che penalizzano un’attività così preziosa e che spesso la fanno apparire poco appetibile alle nuove generazioni, anche se le statistiche registrano una crescita del numero di studenti nelle scuole e negli istituti di Agraria, che lascia prevedere un aumento degli occupati nel settore agricolo. Nello stesso tempo occorre prestare la dovuta attenzione alla fin già troppo diffusa sottrazione di terra all’agricoltura per destinarla ad altre attività, magari apparentemente più redditizie (cfr Messaggio per la Giornata del Ringraziamento, 9 novembre 2014). Anche qui domina il dio denaro! E’ come di quelle persone che non hanno sentimenti, che vendono la famiglia, vendono la madre, ma qui è la tentazione di vendere la madre terra.

Tale riflessione sulla centralità del lavoro agricolo porta il nostro sguardo su due aree critiche: la prima è quella della povertà e della fame, che ancora interessa purtroppo una vasta parte dell’umanità. Il Concilio Vaticano II ha ricordato la destinazione universale dei beni della terra (cfr Cost. past. Gaudium et spes, 69), ma in realtà il sistema economico dominante esclude molti dalla loro giusta fruizione. L’assolutizzazione delle regole del mercato, una cultura dello scarto e dello spreco che nel caso del cibo ha proporzioni inaccettabili, insieme con altri fattori, determinano miseria e sofferenza per tante famiglie. Va quindi ripensato a fondo il sistema di produzione e distribuzione del cibo. Come ci hanno insegnato i nostri nonni, con il pane non si scherza! Io ricordo che, da bambino, quando cadeva il pane, ci insegnavano a prenderlo e baciarlo e a riportarlo sul tavolo. Il pane partecipa in qualche modo della sacralità della vita umana, e perciò non può essere trattato soltanto come una merce (cfr Esort. ap. Evangelii gaudium, 52-60).

Ma – per venire alla seconda area critica – altrettanto importante è ricordare che nel libro della Genesi, capitolo 2, versetto 15, si parla della chiamata dell’uomo non solo a coltivare la terra, ma anche a custodirla. Le due cose sono del resto strettamente collegate: ogni agricoltore sa bene quanto sia diventato più difficile coltivare la terra in un tempo di accelerati mutamenti climatici e di eventi meteorologici estremi sempre più diffusi. Come continuare a produrre buon cibo per la vita di tutti quando la stabilità climatica è a rischio, quando l’aria, l’acqua e il suolo stesso perdono la loro purezza a causa dell’inquinamento? Davvero ci accorgiamo dell’importanza di una puntuale azione di custodia del creato; davvero è urgente che le Nazioni riescano a collaborare per questo scopo fondamentale”.