Bellanova: “Dignità per gli invisibili: una norma da sola non basta”

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Caro direttore,
una sconfitta per tutti. Senza superflui giri di parole Goffredo Buccini commenta così la scarsa e inadeguata attuazione della norma sulla regolarizzazione delle lavoratrici e dei lavoratori, italiani e immigrati presenti nel nostro Paese, costretti a lavorare e a vivere in condizioni spesso di miserabile e vergognosa clandestinità. Condivido appieno. Quella norma da me fortemente voluta tanto da essere individuata con il mio nome (ricordo il sarcasmo sulla commozione nell’illustrarla al termine di un complicato consiglio dei ministri e di ancora più complicate settimane di incontri e mediazioni per giungere al testo definitivo) è e resta la spia di un tema spinosissimo la cui soluzione è indice, qui e adesso, della capacità di un Paese civile, il nostro, nell’affrontare e risolvere i temi più scabrosi e complessi legati alla qualità del mercato del lavoro e di conseguenza al suo grado di civiltà e di democrazia.

Non solo, dunque, un caso di cattivo o lento o inefficiente governo della macchina pubblica. Non ho mai considerato quella norma una sanatoria, piuttosto il tentativo di ricomporre, in questo Paese, il legame tra etica e politica. Passo obbligato già indicato nella legge di contrasto al caporalato approvata dal Governo Renzi e che non a caso affianca alla parte repressiva quella legata alla costruzione della Rete del lavoro agricolo di qualità a partire dall’erogazione dei servizi di trasporto come tassello ineludibile per spezzare la catena del ricatto con cui la mafia dei caporali strozza lavoratrici, offese e piegate anche dal ricatto sessuale, lavoratori, imprese.

E in questo complesso quadro che si inseriva la norma sulla regolarizzazione, resa ancora più urgente dall’emergenza Covid. Ed è in questo quadro che oltre 207 mila persone si sono fidate dello Stato e ancora di più si sono fidate dello Stato quelle circa 13 mila persone straniere che, senza schermo alcuno, senza datori di lavoro, hanno denunciato la loro posizione clandestina di lavoratori sfruttati e spesso ridotti in schiavitù, abitanti dei ghetti.

Il punto dunque non è se sia andata o meno come sperava la Bellanova. Il punto è comprendere cosa e come è mancato, in quella norma e poi dopo nella sua doverosa e obbligata attuazione. Non è un mistero per nessuno: per buona parte della compagine del governo giallo-rosso quella non era una priorità. Ho dovuto lottare a lungo e con enorme determinazione perché la finestra finalizzata alla regolarizzazione non durasse solo 30 giorni. Non è un mistero per nessuno che, fin da subito, ho indicato la necessità di contemplare tutti gli altri settori in cui il caporalato è anello forte nell’intermediazione del lavoro. Non è un mistero per nessuno che a quella regolarizzazione si sarebbe dovuto legare, come è nello spirito del Piano triennale contro il caporalato che deve essere nel modo più assoluto attuato, lo smantellamento dei ghetti e, nel caso del lavoro agricolo, il calendario dei fabbisogni così come l’incrocio automatico e trasparente della domanda e dell’offerta con la realizzazione di una piattaforma che ancora oggi Anpal non ha realizzato.

Per smantellare lavoro nero, riduzione in schiavitù, ghetti, invisibilità, una norma non basta. Il salto di qualità o è di una intera classe dirigente e di tutti i soggetti che determinano le condizioni del lavoro o rischia di non essere o essere parziale. La sconfitta di cui parla Buccini indica con chiarezza che la regolarizzazione non era evidentemente la priorità di tutti. Per me continua ad esserlo ed è un tema che continuerò a seguire finché dei ghetti non resterà che un ricordo sbiadito.

Oggi nell’Assemblea di Italia Viva abbiamo detto «no all’inverno». Il riformismo per me è questo.