Camorra, minacce a Saviano e Capacchione: pm chiede tre condanne

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“Condannare ad un anno e sei mesi di reclusione tutti gli imputati”. Queste le richieste del pubblico ministero Alberto Galanti davanti ai giudici della IV sezione del tribunale di Roma nell’ambito del processo al boss di Camorra Francesco Bidognetti, detto “cicciotto e’ mezzanotte”, del suo avvocato Michele Santonastaso e del legale Carmine D’Aniello. La vicenda è quella del ‘proclama’ letto in occasione del processo Spartacus nel 2008. Oggetto delle accuse dei camorristi erano lo scrittore Roberto Saviano e la giornalista Rosaria Capacchione. Ed il magistrato oggi ha ricordato: “Rosaria Capacchione è stata una spina nel fianco del clan dei Casalesi e Roberto Saviano con il suo libro Gomorra ha accesso i fari sulla provincia di Caserta: questo per una consorteria mafiosa è un colpo al cuore. Entrambi erano da considerare nemici giurati dell’organizzazione criminale”. Gli imputati rispondono dell’accusa di minacce aggravate dal metodo mafioso. Secondo la ricostruzione del pm Galanti la storia che vede minacciati Saviano e Capacchione inizia a marzo del 2008, nel corso delle arringhe della difesa al processo Spartacus, davanti alla corte d’assise d’appello di Napoli. Quando toccò all’avvocato Michele Santonastaso questi lesse un documento che conteneva un’istanza di legittimo sospetto che, in realtà, era un proclama del clan dei casalesi contro i due giornalisti, “rei” di aver seguito la cronaca di quella che viene considerata una delle organizzazioni criminali più feroci al mondo. Era un attacco evidente anche ai magistrati Federico Cafiero de Raho e Raffaele Cantone. Saviano quando venne in tribunale a testimoniare spiegò: “La ricusazione letta dall’avvocato in quell’aula era importante e grave, era una minaccia perché portava la firma di due boss del calibro di Francesco Bidognetti e Antonio Iovine”. Allora lo scrittore aveva 26 anni. “Avere la scorta non è un merito e non è un privilegio, è un dramma – disse – In tutti questi anni ho vissuto spostandomi di continuo per allontanarmi dal pericolo, ho dovuto lasciare la mia città e anche i miei familiari, fatta eccezione per mio padre, sono dovuti andare via da Caserta e questo è il peso più grande per me. L’impatto di una situazione del genere è immenso e nessuna sentenza potrà ripagare tale mancanza di libertà”.