Come è andato il primo (doppio) dibattito tra i democratici

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Manca ancora un anno alla convention di Milwaukee che a seguito delle primarie nei vari stati americani (da febbraio a giugno 2020) nomineranno ufficialmente lo sfidante di Donald Trump alle presidenziali del 3 novembre. La data sembra ancora lontana, ma i candidati hanno già avviato le proprie campagne.

Al momento sono 25 i candidati democratici in corsa, anche se solo 20 hanno soddisfatto i requisiti decisi dal partito per partecipare ai dibattiti. E così si è celebrato il primo dibattito, in due serate per l’alto numero di partecipanti. Essendo stati due appuntamenti è difficile dire chi ha vinto e chi ha perso, ma nonostante tutto alcuni candidati si sono messi in evidenza più di altri.

La prima serata vedeva tra i partecipanti la sola Elizabeth Warren al momento seriamente in corsa per la nomination. La senatrice del Massachusetts, rappresentante dell’ala più di sinistra si è ben comportata, senza affanni e senza spunti particolari. Ha pesato su di lei il fatto di essere senza avversari affermati e quindi un po’ fuori dalla competizione. Buona la prestazione del sindaco di New York Bill De Blasio, combattivo e chiaro, anche se spesso ha interrotto gli avversari. Male l’astro nascente Beto O’Rourke, che non sembra poter replicare la cavalcata che lo ha portato vicino a strappare il seggio al senato al repubblicano Ted Cruz.

Il secondo confronto è stato più interessante. Infatti erano presenti quattro dei cinque principali pretendenti (almeno secondo i primi sondaggi). In questa sfida tra big ha brillato la stella della senatrice californiana Kamala Harris. E’ stata lei ad attirare l’attenzione dei media e dei tanti che hanno seguito il secondo dibattito (più di 15 milioni di americani). In difficoltà i “grandi vecchi” e favoriti Joe Biden e Bernie Sanders. L’ex vicepresidente durante la presidenza Obama ha passato gran parte del suo tempo a difendersi dagli attacchi della Harris – in particolare la senatrice ha incalzato l’ex vicepresidente sul “tema della razza”-.

E’ apparso stanco, a livello di messaggio Bernie Senders. Quello che dice non è cambiato rispetto alla corsa alla nomination del 2016, ma la concorrenza di esponenti più giovani e ugualmente a sinistra gli hanno fatto perdere quell’abbrivio visto in passato e che lo hanno portato ad essere l’unico sfidante di Hillary Clinton. Il New York Times parlando della prestazione del senatore del Vermont ha scritto: “Le sue idee hanno dominato, ma lui no”.

L’altro candidato, nella rosa dei favoriti – sempre prendendo per buoni i primi sondaggi – è Pete Buttigieg. Sindaco gay trentasettenne della città dell’Indiana South Bend si è mostrato sicuro di se e conciliante. Ha voluto rimarcare i buoni risultati ottenuti da sindaco, ma è parso scarso di carisma rispetto all’altra candidata emergente Harris. Una qualità fondamentale se si vuole strappare la nomination non partendo da favoriti. Comunque secondo alcune ricerche sarebbe lui il candidato ideale degli elettori liberali e istruiti, in pratica quelli delle due coste, principalmente la Est, ma difficilmente può fare breccia nell’America profonda. La corsa è solo all’inizio e sarà molto lunga. In tanti si ritireranno, anche perché i candidati sono davvero troppi ed è già record.                                                                                                                                               francesco gerace