Covid e variante indiana, cosa dicono gli esperti

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Il virus si modifica, tracciamento e monitoraggio per individuare le varianti in anticipo

“Il virus ancora non si è stabilizzato e si modifica – sottolinea Andreoni – e può evidentemente far partire nuove varianti. Dobbiamo tracciare e monitorare per individuarlo in anticipo”.

La comunità indiana in Italia è molto numerosa, cosa occorre fare per evitare che possano diffondersi focolai locali o d’importazione? “Se queste persone sono state in India recentemente o hanno avuto contatti stretti con persone tornate nelle ultime 2-3 settimane – avverte l’infettivologo – nel caso di sintomi occorre che si sottopongano a un tampone, si segnalino alle Asl o al medico di famiglia”. Sul blocco dei voli dall’India deciso dal ministro della Salute, Roberto Speranza, “ha fatto bene: in questa situazione è una misura necessaria”, osserva Andreoni.

“Dobbiamo abituarci ad avere sempre nuove varianti” di Sars-CoV-2. Il coronavirus pandemico “ha cominciato a mutare dalla sua prima comparsa, è un virus a Rna e continuerà a mutare”. Ci tiene a fare questa premessa Maria Rita Gismondo, microbiologa dell’ospedale Sacco di Milano, sentita dall’Adnkronos Salute sulla variante indiana che spaventa in queste ore. Un mutante ancora da studiare, osserva, “perché al momento non sappiamo assolutamente niente” di certo.

“Stiamo approfondendo le ricerche per capire meglio cosa questa variante possa comportare”, spiega la direttrice del Laboratorio di microbiologia clinica, virologia e diagnostica delle bioemergenze del Sacco, precisando che “l’attuale situazione dell’India non può essere correlata esclusivamente a una variante che peraltro nel Paese” asiatico “sta circolando nel 10% dei casi. Bisogna continuare a osservare il virus – esorta la scienziata – continuare a studiare le varianti che ci propone ed eventualmente aggiornare i vaccini a mano a mano che il virus cambia, cosa che è già stata decisa” e su cui le aziende produttrici sono già impegnate.

“Il punto, come per altri precedenti analoghi, rimane sempre quello: per avere certezze bisognerebbe sequenziare almeno l’1% dei casi, il 5% secondo i Cdc (Centers for Disease Control and Prevention). Ma visto che la sorveglianza genomica non la si fa, nel merito della questione, ovvero se la variante indiana debba davvero preoccuparci, al momento dovremmo più correttamente concludere che non lo sappiamo”, sottolinea poi all’Adnkronos Salute l’immunologo Mauro Minelli, responsabile per il Sud della Fondazione italiana di Medicina personalizzata.

Secondo Minelli, “con i dati attualmente disponibili a me pare improprio parlare di variante indiana. Nella realtà dei fatti, i genomi indiani sono pochissimi (circa 600). Questo ovviamente non esclude che l’esplosione di nuovi casi sia legata a qualche evoluzione, visto che sono state recentemente individuate un paio di mutazioni nuove nella proteina Spike – osserva l’immunologo – Ma affermare con certezza un nesso di causalità mi pare al momento piuttosto ardito, soprattutto in considerazione del fatto che quelle che ci sono possono abbondantemente giustificare ciò che sta accadendo”.

“Un controllo epidemiologico fatto a livello mondiale può sicuramente limitare la diffusione delle varianti” di Sars-CoV-2, mentre “non credo che la limitazione dei viaggi possa totalmente bloccare la loro diffusione”, avverte Gismondo, anche se “certamente può limitarla”.

In Italia “non ci sono motivi di allarme per la variante indiana del virus Sars-Cov2. Quello che sta succedendo in India, con il grande aumento dei casi, non è dimostrato che sia dovuto esclusivamente a questa variante. Sappiamo che nel Paese circolano, come in tutti i Paesi, moltissime varianti. Il problema dell’India è che si tratta di un Paese con una densità di popolazione molto elevata e che a rafforzare le misure di contenimento fa fatica. La situazione indiana è completamente diversa dalla nostra”, spiega quindi all’Adnkronos il virologo Giovanni Maga, direttore dell’l’Istituto di genetica molecolare del Cnr di Pavia. Maga ricorda, inoltre, che queste varianti “circolano da mesi, ma nei Paesi occidentali ci sono stati pochissimi casi. E non ci sono nemmeno segnali che ci sia un’espansione in atto”.

La variante indiana, quindi, “non sembra in grado, in alcun modo, di cambiare il quadro della nostra epidemia. Dobbiamo ricordare che siamo in una situazione in cui c’è un virus che circola ancora in maniera significativa, il ceppo dominante è quello inglese che sappiamo essere più contagioso. Quello che serve, ed è sufficiente, è mantenere le regole di prudenza. Con mascherina, distanziamento e igiene. Questo ci si protegge contro qualsiasi variante”, conclude Maga.

La variante indiana di Sars-CoV-2 “di sicuro ci piace poco perché ha due mutazioni nella proteina Spike, l’uncino” che il coronavirus utilizza per attaccare le cellule bersaglio, “che rendono più facile l’inserimento all’interno dell’organismo”. Tuttavia “è necessario fare ancora alcune valutazioni” su questo mutante virale, spiega ad ‘Agorà’ su Rai3 Fabrizio Pregliasco, virologo dell’università Statale di Milano.