Credit crunch di Gianfranco Torriero

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(Vice Direttore Generale dell’ABI)

Tratto da “ Lessico Finanziario “ di Beppe Ghisolfi – ARAGNO Editore

Gli economisti tendono a sintetizzare in poche parole fenomeni molto complessi. Tali termini per brevità ed efficacia diventano modi di dire usuali in ambiti informativi e divulgativi. Credit crunch ne è un esempio; è una terminologia di origine inglese – che può essere fatta risalire alla Grande Depressione degli anni trenta del secolo scorso – traducibile come “stretta creditizia”, che indica una restrizione dell’offerta di credito da parte delle banche, o più in generale degli intermediari finanziari, nei confronti di famiglie e imprese, pur in presenza di una potenziale domanda di finanziamenti di buona qualità che rimane, pertanto, insoddisfatta.
L’analisi dell’evoluzione del credito erogato a famiglie e imprese rappresenta una variabile fondamentale per va- lutare le dinamiche dell’economia, in particolare in periodi di profonda recessione economica. Un’eccessiva e ingiustificata contrazione dei finanziamenti costituirebbe infatti un fattore negativo per la crescita futura di consumi e investimenti e sarebbe destinata ad aggravare, in prospettiva, la limitata intonazione delle attività produttive. Dunque, bene si fa a riservare particolare attenzione alla dinamica dei finanziamenti bancari e bene fanno gli osservatori che rimarcano l’importanza che, pur in momenti di forte contrazione della domanda aggregata e di significativo aumento della rischiosità dei prenditori di fondi, si faccia il possibile per garantire buoni livelli di liquidità – di risorse finanziarie – a famiglie e imprese. Tuttavia, accanto a queste giuste attenzioni, convivono tuttora, nella pubblicistica soprattutto italiana, spinte a lanciare allarmi circa la presenza di situazioni di consistente contrazione delle risorse creditizie erogate a famiglie e imprese e non si esita a parlare di credit crunch. Questi allarmi discendono dall’analisi della solo dinamica dei finanziamenti, che nulla dicono se si è in presenza o meno di credit crunch. Va da sé quindi che per poter correttamente esprimersi sull’esistenza o meno di un fenomeno di credit crunch è necessario definire correttamente che cosa esattamente si intenda e come si misura. La definizione di credit crunch maggiormente utilizzata è quella data nel 1991 da Bernanke (Presidente dal 2006 al 2014 della Federal Reserve Usa – FED – cioè della Banca centrale degli Stati Uniti). Secondo tale definizione il credit crunch rappresenta una contrazione dell’offer- ta di credito di eccessiva e anomala ampiezza in rapporto all’andamento del ciclo economico.
Analogamente, in un lavoro del Fondo Monetario Internazionale del 2008, il credit crunch è stato definito come una severa flessione nel tasso di crescita dell’indice di intensità creditizia (rapporto tra credito bancario e PIL nominale), più ampia rispetto a quanto sperimentato nelle normali fasi negative del ciclo economico; tale contrazione (o riduzione di dinamica) deve essere inoltre determinata principalmente da motivazioni dal lato dell’offerta. Il punto focale consiste nel valutare la contrazione dell’offerta di credito relativamente all’andamento dell’economia, cioè della domanda, sottintendendo il fatto che il credito erogato dalle banche tende normalmente e fisiologicamente a rallentare o a ridursi durante un periodo di recessione. Nel credit crunch invece la riduzione del credito è causata da fattori interni agli intermediari finanziari come, ad esempio, carenze di capitale o scarsa liquidità. Tale situazione si differenzia da una riduzione dell’offerta di credito dovuta ad un peggioramento del merito creditizio della clientela oppure da una riduzione del credito dovuta ad un calo della domanda di prestiti da parte della clientela. Una delle conseguenze principali del credit crunch è la riduzione dei prestiti bancari al settore produttivo che, se non sostituti con altre forme di indebitamento (ad esempio emissione di azioni o obbligazioni), può determinare un calo degli investimenti e, quindi, dell’attività economica. Per evitare questo effetto negativo, molto spesso le Banche centrali intervengono fornendo liquidità alle banche con l’obiettivo di allentare la stretta creditizia.di recente si sono verificati fenomeni di credit crunch in Usa nel 2008 quando lo scoppio della bolla immobiliare ha imposto pesanti svalutazioni dei titoli, frutto della cartolarizzazione dei mutui di bassa qualità, detenuti dalle banche. La conseguente riduzione del capitale, gravemente intaccato dalle perdite sui titoli, ha spinto gli intermediari ad irrigidire i criteri per la concessione dei prestiti. La Banca Centrale statunitense è prontamente intervenuta per evitare la stretta creditizia con numerose operazioni di politica monetaria sia ordinarie che straordinarie. Anche in Europa, si è parlato di credit crunch, imputando le forti contrazioni dei prestiti alla maggiore richiesta di patrimonio regolamentare a carico delle banche a seguito della decisione di irrigidire i cosiddetti Accordi di Basilea, cioè quegli accordi che definiscono, tra l’altro, il livello minimo di capitale che le banche devono detenere a fronte dei finanziamenti all’economia. A parità di condizioni più aumenta il capitale da detenere meno risorse saranno a disposizione per finanziare famiglie e imprese. Le Autorità di vigilanza internazionali tuttavia giustificano questa maggiore richiesta di capitale con la prospettiva che se, da un lato, è vero che essa immediatamente produce restrittivi sui finanziamenti, dall’altro, nel lungo termine determina maggiore stabilità e quindi più disponibilità di credito. Tuttavia, giova sempre ricordare che il lungo periodo può essere anche troppo lungo per essere apprezzato.