Deficit di Giovanni Sabatini (Direttore Generale dell’ABI)

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Tratto da “ Lessico Finanziario “ di Beppe Ghisolfi – ARAGNO Editore

Viviamo in una società complessa, in cui c’è bisogno di organizzare e gestire tanti aspetti del vivere comune: la cura dell’ambiente, l’organizzazione di trasporti efficienti, il sistema scolastico per la formazione dei giovani, le strutture sanitarie per l’assistenza medica, le forze dell’ordine per garantire la sicurezza e tante altre. Molte delle infrastrutture e dei servizi di cui abbiamo bisogno ci vengono fornite da aziende private e professionisti, ma una parte consistente è fornita dallo Stato.
La pubblica amministrazione, ossia lo Stato centrale e le altre amministrazioni, rappresenta il più grande agente economico. Pur avendo grandi dimensioni è tenuta a tenere i propri conti in equilibrio, proprio come le famiglie, le imprese e gli altri organismi economici. Nel bilancio dello Stato le entrate vengono soprattutto dalle tasse, di tipo diretto (sul reddito) o indirette, cioè applicate ai consumi come l’IVA. Con le tasse i cittadini contribuiscono insieme a finanziare i servizi pubblici che lo Stato mette a disposizione. Le uscite invece sono dovute a tutte le attività realizzate dalla pubblica amministrazione e vanno dagli stipendi per gli insegnanti alle spese fatte per i servizi ai cittadini, ad esempio la costruzione di un nuovo ospedale pubblico, a tante altre.
Al termine di ogni anno (tecnicamente si parla di esercizio finanziario) si fanno i conti: se le spese della pubblica amministrazione sono state uguali alle entrate, si verifica il pareggio di bilancio. Se le uscite sono maggiori si parla di “deficit pubblico”; se invece sono maggiori le entrate si registra un “avanzo pubblico”. Un’importante voce passiva sono gli interessi che lo Stato deve pagare ogni anno per remunerare il debito pubblico. Si parla di avanzo/disavanzo primario quando dai conteggi vengono escluse le spese sostenute per gli interessi sul debito.
La misurazione del deficit non viene fatta in valori assoluti, ma in rapporto con l’economia del Paese, ossia la sua capacità di produrre beni e servizi. All’interno dell’Unione europea è previsto che il debito pubblico degli Stati membri non debba superare il 3% del PIL.
Quali sono le principali cause che possono favorire il deficit? Sul fronte della spesa, durante l’anno ci possono essere spese maggiori a quanto previsto per il verificarsi, per esempio, di un terremoto. Dal punto di vista delle entrate, è possibile che alla fine dell’anno siano inferiori a quelle previste. Questo può dipendere dall’evasione fiscale, ossia dal mancato pagamento di imposte da parte di lavoratori autonomi e imprese, oppure dal calo dell’attività economica e quindi del PIL, che riduce i redditi di cittadini e imprese e quindi il valore delle tasse da loro pagate.
È possibile che il verificarsi del deficit sia il risultato di scelte politiche. Il principale sostenitore delle politiche espansive in deficit è stato il grande economista John Maynard Keynes. Egli riteneva che, in presenza di forti difficoltà dell’economia, era utile favorire il rilancio dell’attività economica aumentando le spese anche oltre la soglia delle entrate. Nel corso di qualche anno la crescita del PIL avrebbe fatto crescere le entrate fiscali e ripianato le spese accumulate negli anni precedenti. Questa teoria è stata in voga per diversi decenni del Novecento, in seguito diversi economisti l’hanno criticata.