Esponente aziendale di Alberto Rizzo

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(Avvocato cassazionista, Consigliere della BCC di Cherasco)

Tratto da “ Lessico Finanziario “ di Beppe Ghisolfi – ARAGNO Editore

Si tratta della persona fisica che ricopre, nell’ambito di enti creditizi, ovvero holding di controllo, cariche nei relativi organi amministrativi: Presidenti, Vice Presidenti, Amministratori Delegati, componenti dei Consigli di Amministrazione e dei Comitati Esecutivi, Direttori Generali. La disciplina degli “esponenti aziendali” è contenuta nell’art. 26 del Testo Unico Bancario (T.U.B.), il cui disposto normativo (novellato, da ultimo, dal D.Lgs. n. 72 del 12 maggio 2015) altro non rappresenta che il risultato di una complessa piattaforma creata dagli attori comunitari – in sinergia con quelli nazionali – con l’intento, tra i molti, di prevenire crisi finanziarie, quali quella scatenatasi a partire dall’anno 2008, il cui impatto ha avuto rilevantissimi effetti sull’intero sistema bancario internazionale. Per l’art. 26, i soggetti che svolgono funzioni di amministrazione, direzione o controllo presso Banche devono possedere requisiti di professionalità e di onorabilità, stabiliti con Regolamento del Ministero del Tesoro, del Bilancio e della Programmazione Economica adottato, sentita la Banca d’Italia, ai sensi dell’art. 17, comma 3, della L. 23.08.1988 n. 400.

 

L’ultima crisi, iniziata dieci anni orsono, metteva in luce numerose lacune e criticità nella pur corposa regolamentazione di settore già esistente, la quale si rivelava inidonea a garantire la stabilità del sistema bancario e finanziario. Per tale ragione, nel corso degli anni a seguire, si assisteva ad un’intensa produzione normativa, in primis a livello sovranazionale. Tale evoluzione era connotata da progressive proposte e progetti per l’adozione di nuove regole che ambivano sia a rispondere alle criticità manifestatesi, sia a garantire una sana e prudente gestione del governo societario. Tra i vari ambiti su cui si focalizzava l’opera di riforma, l’European Banking Authority (E.B.A.) e la Banca d’Italia insistevano proprio sui requisiti di idoneità dei componenti degli organi sociali delle Banche, attesa la necessità di rafforzare il contenuto delle disposizioni interne in materia di governo societario. Alla luce degli studi sviluppatisi intorno ai fattori che hanno concorso a determinare la crisi, il Legislatore Europeo emanava la Direttiva 2013/36/UE (c.d. “CRD IV”) rafforzando, all’interno della cornice normativa continentale, regole volte a potenziare la materia della corporate governance bancaria tra cui, per quanto qui rileva, la disposizione dell’art. 91, che richiede ai membri dell’organo amministrativo elevati standard di idoneità, a garanzia di un corretto e prudente esercizio dei loro incarichi (il citato articolo della CRD IV fa riferimento, in particolare, ai “requisiti di onorabilità”, nonché alle “conoscenze, competenze e l’esperienza necessarie per l’esercizio delle funzioni”).

La direttiva CRD IV, recepita a livello nazionale con il D.Lgs. 12 maggio 2015 n. 72 – provvedimento in virtù del quale sono stati rafforzati i requisiti di idoneità degli esponenti aziendali di cui all’art. 26 del T.U.B. – non fornisce tuttavia alcuna indicazione dettagliata in merito ai diversi criteri di valutazione dei richiamati requisiti; sicché, sul punto, intervenivano necessariamente autorità di nota rilevanza nello scenario comunitario, quali l’E.B.A., l’European Securities and Markets Authority (E.S.M.A.), nonché la BCE, che elaboravano preziose linee guida in merito alla valutazione di idoneità dei membri degli organi amministrativi delle Banche, fornendo una prima declinazione dei requisiti contemplati dalla CRD IV. I criteri forniti dalle Autorità Europee erano successivamente mutuati (seppur con alcune differenze imposte, in particolar modo, dal diverso ambito di applicazione delle disposizioni in oggetto) dal Ministero dell’Economia e delle Finanze (di seguito MEF), nello Schema di Decreto recante il Regolamento in materia di requisiti e criteri di idoneità allo svolgimento dell’incarico degli esponenti aziendali. Invero, le disposizioni del MEF, volte a rafforzare significativamente gli standard di idoneità degli esponenti bancari italiani, venivano elaborate appena dopo l’entrata in vigore delle Linee Guida della BCE, perché potessero coordinarsi ed integrarsi al meglio.
Il D.Lgs. del 12 maggio 2015 n. 72 (in vigore dal 27 giugno 2015), di recepimento della Direttiva CRD IV, introduce numerose modifiche al T.U.B., tra le quali preme evidenziare proprio la complessiva riforma dei requisiti degli esponenti aziendali bancari.

Prevede il testo vigente del novellato art. 26 del T.U.B. che:
• “i soggetti che svolgono funzioni di amministrazione, direzione e controllo presso Banche devono essere idonei allo svolgimento dell’incarico” (comma I);
• “ai fini del comma primo, gli esponenti devono possedere requisiti di professionalità, onorabilità e indipendenza, soddisfare criteri di competenza e correttezza, dedicare il tempo necessario all’efficace espletamento dell’incarico, in modo da garantire la sana e prudente gestione della banca” (comma II);
• “gli organi di amministrazione e controllo delle banche devono valutare l’idoneità dei propri componenti e l’adeguatezza complessiva dell’organo, documentando il processo di analisi e motivando opportunatamente l’esito della valutazione” (comma V).
In riferimento a tali statuizioni, il MEF, investito del compito di individuare i requisiti di idoneità di cui al comma secondo del predetto articolo, elaborava, dunque, una bozza di Regolamento che rafforza significativamente gli standard di idoneità degli esponenti, in parte elevando i requisiti già previsti dalla disciplina previgente (requisiti di onorabilità e professionalità), ed in parte introducendo profili del tutto nuovi rispetto al D.M. 18 marzo 1998, n. 161 (decreto attuativo del dettato normativo di cui all’art. 26 del T.U.B. previgente), come i criteri di correttezza (che si aggiungono all’onorabilità), competenza (che si aggiungono alla professionalità), adeguata composizione collettiva dell’organo ed indipendenza di giudizio, allineando, come già ribadito, la disciplina italiana agli orientamenti ed alle linee guida dell’E.B.A. e della BCE. A tali requisiti, infine, si aggiunge una disciplina inerente la concreta verifica della disponibilità di tempo allo svolgimento dell’incarico e dei limiti al cumulo degli incarichi, volta ad evitare un’eccessiva concentrazione degli stessi ed un impegno non adeguato dell’esponente bancario designato. Nell’analizzare la disciplina di dettaglio proposta dal MEF, si devono tenere doverosamente in conto i criteri già utilizzati dalla BCE. Nel concetto di esperienza (denominata “professionalità” nello schema di D.M. del MEF) rientrano le conoscenze tecniche (acquisite tramite l’istruzione e la formazione), che consentono di comprendere le attività ed i rischi principali dell’ente (in particolare, rilevano le conoscenze nei seguenti settori: mercati finanziari; contesto normativo di riferimento e dei relativi obblighi giuridici; pianificazione strategica e relativa attuazione; gestione dei rischi; governo societario; accounting ed informativa di bilancio), nonché l’esperienza professionale pregressa. A tal riguardo, diviene fondamentale sottolineare come il livello e la natura di esperienza richiesta ad un componente dell’organo di amministrazione debbano esser valutati alla stregua delle caratteristiche dell’ente di destinazione.
Poiché, infatti, il livello di esperienza richiesto dipende dalle caratteristiche principali della funzione specifica e dell’ente, ne discende che ad una loro maggiore complessità debba corrispondere un più elevato livello d’esperienza richiesto (c.d. principio di proporzionalità).

Con particolare riferimento al processo attraverso il quale è condotta la valutazione dell’esperienza, la BCE stabilisce il seguente iter:
• ai fini della valutazione delle conoscenze tecniche in materia bancaria, particolare attenzione è rivolta al livello ed al profilo dell’istruzione, che dovrebbe attenere ai servizi bancari e finanziari o ad altri ambiti pertinenti quali, in via principale, i settori bancario, finanziario, economico, giuridico, amministrativo, della tecnologia dell’informazione, dell’analisi finanziaria e dei metodi quantitativi;
• l’esperienza viene invece valutata sulla base delle posizioni precedentemente occupate tenendo conto della durata dell’incarico, delle dimensioni dell’ente, delle funzioni ricoperte, del numero di collaboratori subordinati, della natura delle attività svolte nonché, tra l’altro, dell’effettiva pertinenza dell’esperienza maturata. La metodologia ivi enucleata è stata recepita dal MEF – con le necessarie differenze dettate dai diversi ambiti di applicazione dei provvedimenti in oggetto – nello Schema di Decreto Ministeriale recante il regolamento inerente ai requisiti di idoneità degli esponenti bancari. Calandosi nel dettato normativo di cui all’art. 7 sez. III del suddetto Regolamento, infatti, è possibile rinvenire molteplici analogie con la disciplina europea, in particolare rispetto al requisito dell’esperienza professionale pregressa, da valutare in relazione alle posizioni precedentemente occupate, tenendo conto dei parametri richiamati nelle seguenti previsioni normative:
◦ ai sensi del comma I, “gli esponenti con incarichi esecutivi” devono essere scelti “fra persone che abbiano esercitato, per almeno tre anni, anche alternativamente:

a) attività di amministrazione o di controllo o compiti direttivi nel settore creditizio, finanziario, mobiliare o assicurativo;
b) attività di amministrazione o di controllo o compiti direttivi presso società quotate o aventi una dimensione e complessità maggiore o assimilabile (in termini di fatturato, natura e complessità dell’organizzazione o dell’attività svolta) a quella della banca presso la quale l’incarico devo esser ricoperto”.
◦ ai sensi del comma II, “gli esponenti con incarichi non esecutivi” devono essere scelti “tra persone che soddisfano i requisiti di cui al comma I o che abbiano esercitato, per almeno tre anni, anche alternativamente:
a) attività professionali in materia attinente al settore creditizio, finanziario, mobiliare, assicurativo o comunque funzionali all’attività della banca; l’attività professionale deve connotarsi per adeguati livelli di complessità anche con riferimento ai destinatari dei servizi prestati e deve essere svolta in via continuativa e prevalente nei settori sopra richiamati;
b) attività di insegnamento universitario, quali docente di prima o seconda fascia, in materie giuridiche o economiche o in altre materie comunque funzionali all’attività di settore creditizio, finanziario, mobiliare o assicurativo;
c) funzioni direttive, dirigenziali o di vertice, comunque denominate, presso enti pubblici o pubbliche amministrazioni aventi attinenza con il settore creditizio, finanziario, mobiliare o assicurativo e a condizione che l’ente presso cui l’esponente svolgeva tali funzioni abbia una dimensione e complessità comparabile con quella della banca presso la quale l’incarico deve esser ricoperto”;
• ai sensi del comma III, “il Presidente del Consiglio di Amministrazione è scelto tra persone che abbiano maturato un’esperienza complessiva di almeno due anni in più rispetto ai requisiti previsti nei commi 1 e 2”;
• ai sensi del comma IV, “l’Amministratore delegato e il Direttore Generale sono scelti tra persone in possesso di una specifica esperienza in materia creditizia, finanziaria, mobiliare o assicurativa, maturata attraverso attività di amministrazione o di controllo o di compiti direttivi per un periodo non inferiore a cinque anni nel settore creditizio, finanziario, mobiliare o assicurativo, oppure in società quotate o aventi una dimensione e complessità comparabili con quella della banca presso la quale l’incarico deve esser ricoperto. Analoghi requisiti sono richiesti per gli incarichi che comportano l’esercizio di funzioni equivalenti a quella di direttore generale”;
• ai sensi del comma V, “ai fini della sussistenza dei requisiti di cui ai commi precedenti: si tiene conto dell’esperienza maturata nel corso dei venti anni precedenti all’assunzione dell’incarico; esperienze maturate contestualmente in più funzioni si conteggiano per il solo periodo di tempo in cui sono state svolte, senza cumularle”.
In relazione ai criteri summenzionati, è di tutta evidenza come il MEF si sia allineato agli orientamenti comunitari ed abbia elevato gli standard di idoneità professionale degli esponenti bancari imponendo l’utilizzo, nell’iter valutativo, di criteri ben più stringenti ed in grado di assurgere a garanzia di una maggior stabilità del sistema bancario.
In termini generali, infatti, i soggetti che intendono ricoprire la carica di componente dell’organo amministrativo bancario debbono possedere un ricco bagaglio di conoscenze maturate, nel tempo, mediante le seguenti modalità:

◦ l’espletamento di attività di amministrazione, di controllo o di compiti direttivi nei settori creditizio, finanziario, mobiliare o assicurativo o, in alternativa, in società quotate o aventi caratteristiche dimensionali e di complessità maggiori o assimilabili a quelle della banca presso la quale l’incarico deve esser ricoperto;
◦ l’esercizio di attività professionali o di insegnamento universitario in materie attinenti ai settori suindicati;
◦ l’espletamento di funzioni direttive, dirigenziali o di vertice presso enti pubblici o pubbliche amministrazioni, aventi attinenza con i settori richiamati e solamente in caso di corrispondenza tra le caratteristiche dimensionali dell’ente e quelle della banca presso la quale l’incarico deve essere ricoperto. Particolarmente significativo, in virtù della sua portata totalmente innovativa, risulta il criterio che impone di valutare l’esperienza professionale pregressa in relazione alla natura dimensionale e di complessità dell’ente presso il quale il candidato esponente bancario ha ricoperto funzioni di amministrazione, direzione o controllo (art. 7, comma I, lettera b del Regolamento); detto parametro, infatti, esigendo una corrispondenza tra le caratteristiche dimensionali e di complessità della società di provenienza e quelle della Banca di destinazione, assicura adeguati livelli di professionalità degli esponenti bancari designati.
Si ricorda, a tal proposito, come, in ossequio alla nor- mativa previgente di cui al D.M. del 18 marzo 1998 n. 161 (decreto attuativo dell’art. 26 del T.U.B. nella sua vecchia formulazione) fosse sufficiente aver ricoperto funzioni di amministrazione, direzione o controllo presso generiche imprese, ossia a prescindere dalle caratteristiche dimensionali e di complessità dell’ente di provenienza.
Ebbene, alla luce di quanto sin qui esposto, è evidente come il processo di accrescimento della qualificazione dei Consiglieri che siedono negli organi di amministrazione delle Banche italiane avrebbe il fondamentale pregio di aver introdotto nel sistema bancario e finanziario il principio di adeguatezza professionale, vero e proprio cardine nel processo di valutazione dell’idoneità delle figure apicali. Tale aspetto rappresenta, infatti, un obiettivo verso cui muovono le maggiori iniziative di settore a livello globale, attesa la necessità, resa evidente in seguito alla crisi, di tutelare le potenziali vittime dei rischi bancari, premurandosi di ammettere al governo bancario solo soggetti capaci di prendersene consapevole cura. D’altronde, non pare vi siano dubbi in ordine alle garanzie di professionalità connaturate al criterio valutativo sin qui esaminato: l’aver espletato funzioni di amministrazione, controllo o direzione in società equiparabili – in termini di dimensione e complessità – alla Banca presso la quale l’incarico deve esser ricoperto, è indice rivelatore del possesso di quelle conoscenze, competenze ed esperienza necessarie ad assolvere diligentemente le funzioni demandate all’organo amministrativo. Peraltro, la rilevanza del suddetto principio trova conforto nell’accurata analisi offerta da studi condotti dalle più importanti istituzioni internazionali, le quali concordano nel ritenere che la presenza di deboli assetti di go- verno, pur non rappresentando diretto fattore scatenante, abbia concorso, senza dubbio, a determinare la crisi, con ciò dimostrando l’inosservanza del principio “Know your structure”; tale mancanza avrebbe implicato l’incapacità dell’organo amministrativo di svolgere l’attività di sua competenza, operando in carenza di strumenti idonei ad aver contezza e consapevolezza del business e del rischio cui l’attività era sottoposta. In ultima analisi, occorre rimarcare alcuni criteri individuati dal nostro legislatore, e dalla Banca d’Italia, atti a definire la dimensione e complessità operativa di Banche e società, al fine di poter inquadrare i suddetti enti – a seconda delle caratteristiche dimensionali – all’interno di una specifica categoria di appartenenza. Tali parametri consentono all’organo amministrativo di verificare – nel processo di valutazione dei requisiti di professionalità – se le caratteristiche dimensionali e di complessità della società presso cui sono state esercitate le funzioni di amministrazione, controllo o direzione siano o meno assimilabili a quelle della Banca presso la quale l’incarico dovrà esser ricoperto.

I criteri di individuazione:
1 in ossequio alle disposizioni dettate dalla Banca d’Italia nella Circolare n. 285 del 17 dicembre 2013 (“Disposizioni di vigilanza per le Banche”), gli Istituti di Credito possono essere così classificati:
◦ banche di maggiori dimensioni o complessità operativa:

i gli Istituti considerati significativi ai sensi dell’art. 6, par. 4, Regolamento (UE) n. 1024/2013, che attribu- isce alla BCE compiti specifici in materia di vigilanza prudenziale degli enti creditizi;
ii le banche quotate;
◦ banche intermedie: gli Istituti con un attivo compreso tra i 3,5 miliardi di euro ed i 30 miliardi di euro;
◦ banche di minori dimensioni o complessità operativa: gli Istituti con un attivo pari o inferiore a 3,5 miliardi di euro.
Inoltre, vengono indicati criteri sussidiari che possono esser utilizzati nel caso in cui la Banca ritenga che i parametri ordinari non siano sufficientemente significativi per l’attribuzione ad una delle tre categorie, quali a titolo esemplificativo: la tipologia di attività svolta (ad esempio, le Banche con strategie orientate verso determinati settori di attività, come quello della gestione del risparmio o della negoziazione per conto proprio o in conto di terzi configurano, in molti casi, ipotesi di maggiore complessità operativa/organizzativa) o la struttura proprietaria dell’intermediario (il controllo totalitario da parte di un intermediario estero potrebbe, in talune circostanze, configurare condizioni di limitata complessità operativa/organizzativa).

2 ai fini della determinazione della dimensione aziendale, occorre richiamare il D.M. Attività Produttive del 18 aprile 2005 (“Adeguamento alla disciplina comunitaria dei criteri di individuazione di piccole e medie imprese”), in virtù del quale le imprese possono esser così classificate:
• micro impresa: l’impresa che ha meno di 10 occupati ed un fatturato annuo oppure un totale di bilancio annuo non superiore a 2 milioni di euro;
• piccola impresa: l’impresa che ha meno di 50 occupati ed un fatturato annuo oppure un totale di bilancio annuo non superiore a 10 milioni di euro;
• media impresa: l’impresa che ha meno di 250 occupati ed un fatturato annuo non superiore a 50 milioni di euro o un totale di bilancio annuo (totale dell’attivo patrimoniale) non superiore a 43 milioni di euro. Non occorre certo precisare che per fatturato si intende l’importo netto del volume d’affari – comprensivo dei proventi della vendita di prodotti e della prestazione di servizi rientranti nelle attività ordinarie della società, diminuiti degli sconti concessi sulle vendite, nonché dell’imposta sul valore aggiunto e delle altre imposte direttamente connesse con il volume d’affari – così come per totale di bilancio annuo si intende il totale dell’attivo patrimoniale, e per “occupati” si intendono i dipendenti dell’impresa a tempo determinato o indeterminato, iscritti nell’albo matricola dell’impresa e legati all’impresa da forme contrattuali che prevedono il vincolo di dipendenza, fatta eccezione di quelli posti in cassa integrazione straordinaria.
Maggiori difficoltà, comprensibilmente, presenta il criterio della “complessità” della struttura societaria, posto che le Banche, a prescindere dalle dimensioni, presentano un’articolazione interna minima – definita normativamente – che rappresenta un unicum nell’ambito delle imprese private.
In effetti, i requisiti previsti dalla normativa bancaria per assicurare un livello di compliance minimo per un soggetto che intende svolgere un’attività regolamentata – e molto “delicata” sotto il profilo dell’interesse pubblico – sono sicuramente significativi e non trovano riscontro in aziende private di pari dimensioni. Invero, in ossequio ai principi generali di organizzazione stabiliti dalla Banca d’Italia – nella Circolare n. 285 del 17/12/13 e nel Provvedimento del 10/3/11 – gli Istituti bancari sono tenuti ad adottare un’articolata gamma di presidi che rivelano l’alto grado di complessità della governance societaria, condicio sine qua non per una sana e prudente gestione.
In altri termini, una Banca, anche se di piccole dimensioni, per essere autorizzata ad operare necessita di una struttura interna che presenti già un grado di media complessità, non fosse altro per le funzioni di controllo “obbligatorie” imposte dalla normativa (internal audit, compliance, risk management, antiriciclaggio), per l’obbligo di puntuale regolamentazione interna dei processi core (erogazione del credito, servizi finanziari, ecc.), organizzativi (assunzione personale, acquisto di beni/ servizi, ecc.) e di governance (politiche di remunerazione, ecc.).

Tale specifica – soprattutto nel nostro Paese, caratterizzato da un tessuto imprenditoriale formato da numerosissime piccole e medie imprese spesso a conduzione famigliare o comunque a ridotta articolazione interna – è difficilmente rinvenibile in aziende – paragonabili per “dimensioni” nell’accezione sopra chiarita – che svolgano un’attività di impresa diversa da quella regolamentata dalla normativa bancaria e finanziaria.di conseguenza, è evidente come, nel panorama italiano, gli Istituti bancari non possano esser equiparati, in termini di complessità organizzativa, né ad una società di medie dimensioni né, tantomeno, ad un’impresa di piccole dimensioni. Pertanto, l’organo deputato alla verifica dei requisiti di idoneità degli esponenti aziendali ai sensi dell’art. 26 del T.U.B. sarà tenuto ad adoperare, nel processo di valutazione del requisito in oggetto, i criteri elaborati dal nostro Legislatore e dalla Banca d’Italia ai fini della determinazione delle soglie dimensionali e di complessità di istituti di credito e società. In conclusione, ed a distanza di oltre un anno (20 set- tembre 2017) dal termine del processo di consultazione, non è ancora stata approvata la versione definitiva del decreto oggetto del presente contributo, il quale potrebbe anche presentare modifiche o aggiunte, le quali, peraltro, non dovrebbero discostarsi in maniera sostanziale dal testo esaminato, sia per rispetto degli interlocutori coinvolti nella predisposizione del medesimo, che per le indicazioni contenute nelle norme comunitarie. Quanto alla concreta applicabilità, in ogni caso, pare difficile ipotizzare che la versione definitiva non comprenderà quanto previsto dall’art. 25 dello schema proposto, secondo il quale le previsioni normative di cui al medesimo Decreto Ministeriale saranno applicabili soltanto “…alle nomine successive alla data della sua entrata in vigore”. L’opposta soluzione – ossia l’immediata applicabilità della norma ed il conseguente obbligo di uniformarsi in tempi predefiniti ai disposti contenuti nella medesima – seppur non espressamente vietata dall’Ordinamento, è solitamente utilizzata in ambiti giuridici diversi (per lo più in materia penale, tributaria o amministrativa). In ogni caso, e per concludere, risulta evidente come la scelta di uniformarsi, sin da ora, ai nuovi parametri dettati in tema di “suitability” non possa che comportare indubbi vantaggi per ogni Banca nazionale, a prescindere dalle sue dimensioni. Invero, lo spontaneo adeguamento al ricorrere dei periodici processi di verifica ed autovalutazione degli organi, non esporrà le Banche (e, soprattutto, i loro organi amministrativi e di controllo) al rischio di un precipitoso adeguamento nel caso in cui la norma lo richiedesse fin dalla sua entrata in vigore. A ciò si aggiunga una doverosa considerazione in merito all’equilibrio dell’Organo Amministrativo: la composizione del predetto non potrà che essere ipotizzata, per il singolo Istituto di credito, ponendo particolare attenzione ai compiti gestionali ad esso affidati dallo Statuto societario, a seconda della governance e delle dimensioni.

Cosicchè è difficilmente ipotizzabile una composizione “ideale” dell’Organo Amministrativo semplicemente valutando in astratto le varie “professionalità” previste dai requisiti sopra analizzati, ma sarà doveroso che l’Assemblea si ponga l’obiettivo di strutturarlo avendo ben presente l’attività che dovrà essere svolta, bilanciando con ponderazione i curricula e le esperienze maturate dai componenti del medesimo Organo, al fine di poter disporre di professionalità che si compensino e possano garantire la massima adeguatezza. La “squadra” del governo societario dovrà quindi essere “attrezzata” per affrontare le crescenti sfide quotidiane del mercato.