Fiscal compact di Giovanni Sabatini (Direttore Generale dell’ABI)

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giovanni sabatini

Tratto da “ Lessico Finanziario “ di Beppe Ghisolfi – ARAGNO Editore

Dopo la Seconda Guerra Mondiale, che causò tanti morti e devastazioni sul suolo dell’Europa, è iniziato un processo di cooperazione fra gli Stati europei, volto a prevenire nuovi conflitti e incentivare la reciproca collaborazione. I migliori risultati sono stati conseguiti sul piano economico, favorendo un ragguardevole sviluppo dei diversi paesi Europei, anche grazie ad una serie di accordi che integrano progressivamente le economie del continente. Fra le tappe più importanti si possono ricordare i “Trattati di Roma” che portarono alla nascita della Comunità Economica Europea, firmati nella nostra capitale nel 1957, e successivamente il Trattato di Maastricht, che nel 1992 delineò l’itinerario e i vincoli per la nascita dell’Unione Europea. In questo percorso di progressiva integrazione è stato osservato un elemento problematico. Gli Stati europei adottano la moneta unica, quell’euro che ogni giorno abbiamo fra le mani, ma la gestione del bilancio pubblico – le entrate e le spese dello Stato e delle altre amministrazioni – risponde a logiche di carattere nazionale. Questo favorisce talvolta l’adozione di politiche economiche con una ridotta attenzione al contenimento di deficit e debito pubblico. Ne discendono una serie di difficoltà per il processo di integrazione e per la stabilità dell’euro. Per affrontare tale situazione è stato firmato nel 1997 dai membri dell’Unione Europea il Patto di stabilità e crescita, che però non ha portato ai risultati auspicati. In seguito è stato predisposto un altro trattato, il cosiddetto “Fiscal Compact”. Si tratta di un Patto sul bilancio, fir- mato nel 2012 da tutti gli Stati membri dell’Unione Europea tranne la Repubblica Ceca, la Gran Bretagna e la Croazia.

Fra i diversi impegni sottoscritti, il più significativo è l’introduzione fra le leggi fondamentali dello Stato (in Italia la Costituzione) della cosiddetta “regola aurea”, ossia il vincolo per cui il bilancio dello Stato dev’essere in pareggio o attivo. Inoltre, se il debito pubblico è superiore del 60% al PIL gli Stati s’impegnano ad attuare serie misure perché ogni anno si riduca. L’obiettivo del trattato è di armonizzare le politiche di spesa dei singoli Stati, secondo il principio dell’equilibrio di bilancio. L’impostazione del Fiscal Compact non è condivisa da tutti. Diversi economisti hanno espresso riserve, soprattutto perché nelle fasi di crisi il meccanismo tende a mettere in ulteriore difficoltà il sistema economico. Anche a livello politico ci sono state diverse critiche: da alcuni riguardo all’eccessiva rigidità delle sue prescrizioni, da altri invece riguardo all’eccessiva discrezionalità nella loro imposizione. In tempi recenti si è osservato che l’applicazione delle norme del Fiscal Compact viene mediata a livello politico nel confronto fra la Commissione europea e i singoli Stati, risultando meno rigida di quanto potesse sembrare. Per concludere, possiamo sintetizzare la vicenda in questi termini: ogni agente economico – famiglie, banche, imprese – deve tenere i propri conti in ordine, facendo attenzione a non indebitarsi troppo. Questo è vero anche per gli Stati e lo è ancora di più all’interno dell’Europa, in cui si è scelto di integrare le diverse economie. Alle volte chi governa orienta la politica economica con maggiore attenzione al consenso che alla virtuosità delle scelte, finendo per indebitare il proprio Stato. I trattati impongono vincoli perché ci sia la necessaria attenzione ai conti. Tuttavia, essendo l’economia una materia estremamente complessa e ricca di contraddizioni, non si è trovata ancora la formula che metta tutti d’accordo sulle modalità da seguire.