Hong Kong, vittoria della protesta: sospesa legge su estradizione

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Ha vinto la protesta, ha perso la governatrice fedele a Pechino: Carrie Lam, chief executive di Hong Kong, ha annunciato oggi la sospensione, a data da destinarsi, della controversa legge che avrebbe permesso l’estradizione verso la madrepatria Cina, uno sviluppo che ha scatenato proteste senza precedenti nell’ex colonia britannica, costringendo la governatrice al dietro front.

Le voci di una sospensione dell’iter per l’adozione della legge sull’estradizione circolavano da ieri e oggi sono state confermate dall’annuncio di Lam con una conferenza stampa. “La sincera intenzione era di colmare lacune legislative“, ha dichiarato la chief executive, respingendo le accuse degli oppositori – e delle decine di migliaia scese in piazza a protestare – secondo cui il vero fine della norma è fornire alla Cina le basi legali per arrestare i dissidenti che si trovano a Hong Kong e per una ulteriore stretta sulle libertà fondamentali.

“Il governo ha deciso di sospendere l’esercizio legislativo di modifica, di riprendere la comunicazione con tutti i settori della società, di fornire ulteriori spiegazioni e ascoltare le diverse opinioni della società“, ha affermato Lam.
“La priorità è ripristinare la pace, l’ordine e la fiducia nel governo” ha aggiunto, alla vigilia di una nuova manifestazione convocata per domani.

Gli organizzatori della protesta avevano già fatto sapere che una eventuale sospensione della legge non avrebbe portato alla revoca del raduno: resta da vedere se i piani saranno confermati e quale sarà, in caso, l’adesione.

L’avvio dell’iter per l’adozione della controversa legge ha scatenato le proteste più violente da quando Hong Kong, ex colonia britannica, è tornata parte della Cina, nel 1997. Domenica scorsa, e poi mercoledì 12 giugno, decine di migliaia di manifestanti sono scesi in strada per chiedere la revoca del progetto di legge.

La contestazione è sfociata in scontri con le forze dell’ordine e violenze, cosa che “deve cessare“, ha detto oggi la chief executive, secondo cui “non ci sono dead line” per la ripresa dell’esame della legge, ma è improbabile che sia adottata entro l’anno.

Carrie Lam è stata dunque costretta a rimangiarsi le promesse di non cedere alle proteste. A piegare la sua determinazione è stato certo il timore di una nuova, grande manifestazione domani. Hanno poi probabilmente contribuito le divisioni in seno al suo stesso esecutivo.

E con ogni probabilità i timori cinesi per le conseguenze sull’economia di Hong Kong e il suo importantissimo ruolo finanziario. Secondo Reuters, in vista dell’adozione della controversa legge ci sono stati segnali di una fuga di capitali che ha fatto pensare alle massicce e destabilizzanti fuoriuscite registrate prima del ritorno alla Madrepatria nel 1997.

I mercati hanno dato chiari segnali di nervosismo. E anche se Hong Kong non ha più il peso economico di vent’anni fa, quando costituiva un quarto dell’economia cinese, l’ex colonia è un bastione finanziario, una grossa piattaforma per le esportazioni e un porto considerato sicuro per gli investimenti stranieri in Cina.        di giovanni belfiori