HOTSPOT DI LAMPEDUSA, TRA DIRITTI E DOVERI

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Visitare l’Hotspot dell’isola è stato un primo sguardo concreto nella questione migratoria qui a Lampedusa. Questo centro ha avuto numeri altissimi negli scorsi anni che si sono adesso decisamente abbassati, conseguentemente alla riduzione degli sbarchi.
La stessa popolazione di Lampedusa ha dovuto fare in conti per anni con arrivi incessanti ed una politica emergenziale, che ovviamente ha creato svariati attriti, specie nel settore turistico ricettivo.
L’Hotspot ha solo 96 posti attualmente, divisi in stanze da circa 8 persone per maschi femminile e minori. Una parte che è andata distrutta in un incendio nel marzo 2018 sta invece per essere ripristinata. All’arrivo in struttura vengono forniti un kit di vestiario, lenzuola, e prodotti per l’igiene. Per stare in contatto con la famiglia vengono fornite schede telefoniche (quando funzionano), una connessione internet non c’è. Può sembrare una banalità, ma non lo è. L’hotspot è una struttura chiusa e militarizzata, come tutte quelle presenti in Italia. Attraverso l’ufficio immigrazione parte l’iter burocratico di identificazione, registrazione. La permanenza teorica è di 48 ore e l’uscita dall’hotspot non è consentito, ma spesso le 48 ore si allungano in giorni.
In un confronto franco con Frontex e le varie Forze dell’ordine il messaggio chiaro è stato che si tratta di un lavoro molto particolare e faticoso nel mantenere un servizio di sicurezza alto. È dunque fondamentale di non manipolare l’argomentazione ma di affrontarla, a livello nazionale, nel giusto modo. Ovvio che si rendono conto di quanto spesso anche i loro sforzi siano stati strumentalizzati a scapito di un buon servizio.

Quando si parla di questi temi c’è bisogno di serietà e di tenere questo argomento fuori dalla propaganda politica. Solo così si può davvero migliorare le condizioni di chi arriva e delle popolazioni locali che accolgono.