Il cardinale Sandri: il Papa in Iraq per portare gioia e consolazione

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Ultimi preparativi del viaggio di Papa Francesco in Iraq, dal 5 all’8 marzo prossimi. Il Pontefice si reca in un Paese ferito da guerre e violenze, dove incontrerà la minoranza cristiana e i rappresentanti delle altre religioni. Sui motivi di questa visita con noi il cardinale Leonardo Sandri, prefetto della Congregazione per le Chiese orientali
Giancarlo La Vella – Città del Vaticano

Tutto l’Iraq attende con trepidazione la visita di Papa Francesco, dal 5 all’8 marzo prossimi. Il Paese del Golfo, dopo anni di conflitti e violenze, che hanno ridotto allo stremo la popolazione civile. Il Pontefice porterà il suo conforto alla minoranza cristiana, ma anche a tutti gli iracheni. Nel corso della sua visita il Papa avrà modo anche di incontrare i rappresentanti delle altre religioni. Il cardinale Leonardo Sandri, prefetto della Congregazione per le Chiese orientali, nella nostra intervista auspica che il viaggio di Francesco non sia un momento di mestizia e di tristezza, ma sia un segno di speranza.

Ascolta l’intervista al cardinale Leonardo Sandri
R. – Non vorrei che il viaggio del Papa in Iraq sia avvolto da una specie di ombra di tristezza. Invece deve essere per me un viaggio all’insegna della gioia, perché il Papa va a portare a questo popolo, alla Chiesa cattolica e a tutti gli iracheni un annuncio di consolazione, di pace, di ammirazione per tutto quello che loro hanno sofferto e questo messaggio è in particolare per i cristiani e per i cattolici, per quelli che hanno testimoniato la loro fede fino allo spargimento di sangue, e per i vescovi, per i pastori, che sono rimasti con i fedeli, non sono andati via in durante tutta questa guerra, violenze, soprusi, bombardamenti, persecuzioni. Sono rimasti a capo e al servizio dei loro fedeli. Quindi sarà un viaggio di gioia, di consolazione, di partecipazione, di amicizia di tutta la Chiesa cattolica verso questo popolo, sia cristiani che non cristiani.

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Il viaggio di Papa Francesco sarà anche un momento di dialogo con le altre religioni, in particolare quella islamica, alla luce del fatto che anche i non cristiani hanno salutato con favore la decisione di Papa Francesco di recarsi in Iraq?

R. – Certo. Il Papa è stato invitato proprio dalle autorità del Paese e devo dire tutte le volte che io sono stato in Iraq o in altri Paesi a maggioranza musulmana non ho mai ricevuto nessun segnale negativo, nessuna antipatia, niente di sgradevole, ma, al contrario, segnali di apertura. Questo credo che sia la base per poter dire che il Papa presenta adesso al mondo una nuova ‘costituzione universale’, se vogliamo chiamarla così, nel rispetto della propria identità di ogni religione, che rappresenta l’intento di voler costruire un mondo nuovo in pace, in giustizia, in libertà, nel rispetto dei diritti della persona umana, dell’uomo, della donna, della libertà religiosa, perché siamo tutti fratelli. Questa sarà per me, credo, la grande chiave di volta che farà capire che questo viaggio del Papa sia per la chiesa, per i fedeli, per i cattolici, per i cristiani, perché poi in Iraq ci sono la chiesa assira d’Oriente, ci sono anche gli ortodossi, e per i nostri amici musulmani, che sono la maggioranza del Paese In particolare segnalo l’incontro con il Grande Ayatollah Al-Sistani, che è la guida spirituale della religione sciita in Iraq.

Possiamo dire che questo viaggio incarna tutti gli aspetti del documento sulla Fratellanza Universale di Abu Dhabi?

R. – Esattamente. Credo che sia come fare un passo concreto per passare dalle parole ai fatti. Quindi sarebbe come dire che ‘ecco qui possiamo costruire questo mondo migliore, un passo che poi forse potrà essere ancora più realistico se il Papa andrà al più presto, come ha detto, in Libano, un Paese che era stato definito da San Giovanni Paolo come ‘il Paese messaggio’ o da Benedetto XVI ‘Paese laboratorio’, perché è un messaggio di pace, del poter vivere e lavorare insieme pur essendo di religioni diverse, come i musulmani con i cattolici o i cristiani. E poi è un laboratorio, perché tutte queste teorie di poter costruire un mondo nuovo si possono realizzare solo, e questa è la grande differenza, nella vita concreta di ogni giorno. I cristiani, che sono minoranza, vivono insieme ogni giorno a quelli che sono la maggioranza, cioè i musulmani, e devono vivere nel rispetto, nella verità della propria identità, essendo tutti figli e cittadini del Paese nel quale vivono e, non perché siano una minoranza, possono essere meno rispettati o meno benvoluti o con meno possibilità di inserirsi nella vita sociale del Paese.

Eminenza, un suo pensiero proprio alla comunità cristiana irachena che aspetta con trepidazione l’incontro con Papa Francesco?

R. – Credo che voi, cari amici e fratelli cristiani cattolici dell’Iraq, caldei, armeni, latini, dovete prepararvi con grande gioia, perché questo viaggio sarà una specie di patente, che vi darà il Papa, di popolo fedele a Cristo anche nelle più grosse difficoltà e persecuzioni.