Il Draghettatore e l’Italia esausta

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Ma verso dove ci sta traghettando Mario Draghi?

Lo vedi sicuro e rassicurante sulla tolda di comando, elegante in modo naturale, non artefatto, si esprime con misura e realismo, non promette, non si vanta. Autorevole a livello internazionale. È concreto, sobrio, non mostra narcisismo e vanagloria di potere. Però le due grandi speranze degli italiani restano sospese: dal covid ancora non si esce e sui vaccini si cincischia tanto. E dalla crisi economica, con le sue perduranti chiusure, non si intraprende ancora la via d’uscita. Siamo in piena tempesta e non si vede l’approdo, non si capisce la rotta, non si sa dove ci stia portando il Draghettatore.

È troppo presto per azzardare un giudizio su Draghi e sulla sua ibrida creatura di governo; ibrida non solo perché è un governo d’unità nazionale, dunque eterogeneo, ma ibrida perché il governo è per metà tecnico e per metà politico, per metà pragmatico e per metà sovietico, per metà liberista e per metà statalista. Lui è guardingo, si muove con passo felpato, e si vede persino dalla sua andatura; l’avremmo voluto più decisionista, più risoluto nel cambiare la politica sanitaria del governo e l’assistenzialismo grillino. Ma è frenato, confida in un graduale attenuarsi della crisi sanitaria per mettere mano al piano economico. Intanto in sala d’attesa, la gente è sfibrata.

Il meglio di Draghi è quando non somiglia al suo predecessore; il peggio è quando ne prosegue il cammino, seppure con stile diverso e allineandosi all’Europa, o quando appoggia certi suoi ministri e ne difende l’operato, a partire da quel ministro che la sorte beffarda ha battezzato Speranza, il tristo ministro della malasalute. Tante restrizioni e quasi 120mila morti di covid, record europeo sin dall’inizio.

Dall’altra parte c’è un’Italia che si sente al capolinea: se non è ancora finita è però sicuramente sfinita. Come definire questo paese nella primavera del ’21, dopo che ci è apparso spaventato, depresso, avvilito dalla lunga cattività? Direi un paese esausto, come si dice di chi è spossato, estenuato da una lunga prova di rinunce e sacrifici. O come si dice degli oli esausti, che diventano tossici e inquinanti per l’uso e l’abuso. L’Italia è oggi un paese esausto, non ha la forza di reagire al malessere che avverte, confondendolo con un sintomo del covid; e si aggrappa al vaccino per rassegnazione, alternando diffidenza a dipendenza dal siero, inteso come simbolo di resurrezione civile prima che personale, valvola di sicurezza anche se carico a sua volta di allarmi e insidie.

Il Draghettatore, il paese esausto e la politica. Come vive la politica questa lunga cattività? È in una fase di stallo e maldipancia mascherato. Scemano i conflitti per ragione di governo unitario e di leadership extrapolitica, al più serpeggiano sottotraccia e tutta la politica si sforza di comunicare ai cittadini solo il proprio impegno in favore della gente. Non dicono altro tutti, da sinistra a destra, non danno altri messaggi che la rassicurazione del proprio battersi a favor di popolo. Il populismo come espressione politica sarà tramontato, e ingloriosamente, ma tutti si sono fatti populisti, ne imitano la demagogia e lo spargimento di promesse; tutti riducono la messaggeria politica a consolare, confortare, supportare. Perfino Draghi, che pure non ha diretti interessi politici, ha detto che quest’anno si deve dare, non prendere; e i pessimisti previdenti leggono anche la controdichiarazione implicita di quella dichiarazione: l’anno prossimo, invece, quando il covid si placherà o verrà sedato, ci sarà il girone di ritorno e saranno invece mazzate, si dovrà dare, restituire.

L’ultima novità politica, dopo Letta alla guida del Pd, stenta a decollare: è la leadership dei 5Stelle. Giuseppe Conte a capo dei grillini ricorda la figura dello scrivano a cui si rivolgevano un tempo gli analfabeti per farsi leggere e scrivere la corrispondenza. Memorabile in quel ruolo fu Totò in Miseria e Nobiltà che campando sugli analfabeti e sincerandosi che i suoi avventori lo fossero, esultava gridando “Viva l’ignoranza!”. Un vero precursore dell’avvocato e dei grillini; stavolta il remake potrebbe intitolarsi Miseria e Vacuità.

I 5Stelle, privi d’identità e di consistenza propria, come mucillagini trasparenti assumono l’aspetto e le fattezze di coloro a cui si accompagnano: infatti per definirsi e farsi identificare si collocano vicino al Pd, nell’area progressista e nel centro-sinistra. Tanto rumore antipolitico per tornare alla formula dell’establishment dominante in Italia.

Ha prevalso nei grillini la via avvocatesca alla politica: l’assunzione di un leader che sposa la causa come un patrocinatore, non come un militante. Estraneo alla causa, come accade quando ingaggi un difensore, la sostiene solo per ragioni professionali, indipendentemente se giusta o no. E la parcella in politica si paga in vari modi. Risultato: il partito più “credente” fino a ieri è diventato il più cinico, ha scavalcato gli altri in carrierismo e miscredenza.

Ma i politici tutti sono a disagio nei loro ruoli e costretti a interpretare una parte che non è loro congeniale; va un po’ meglio per chi è fuori dal governo, come la Meloni, che può dire quel che pensa, sapendo d’incontrare più facilmente il favore popolare. Tutti vivono straniti questa fase sospensiva della politica e temono il silenzio sornione del paese, che da un momento all’altro può esplodere. Quello che sta succedendo nelle piazze è solo un frammento del malessere e del malcontento che covano sotto le ceneri. Il paese non si pronuncia ancora su Draghi. Ma se si sveglia il vulcano…           Marcello Veneziani