Il Papa a Lesbo, cinque anni fa l’abbraccio ai profughi di Moria

0
73
papa francesco

Anniversario della storica e commovente visita di Francesco tra i migranti dell’isola greca, assieme al patriarca ecumenico Bartolomeo I e all’arcivescovo ortodosso di Atene e di tutta la Grecia, Ieronymos. Era il 16 aprile del 2016. Un momento di solidarietà, di umanità e di profonda fraternità con chi, in fuga da guerra e violenza, attraversa il Mediterraneo e l’Egeo per salvarsi
Francesca Sabatinelli – Città del Vaticano

Quello di Francesco a Lesbo fu un viaggio segnato dalla tristezza, non dalla gioia dell’incontro. Il Papa, ancora prima di toccare il suolo greco, anticipava così ai giornalisti a bordo dell’aereo, la sua visita ai rifugiati e migranti del campo di Morìa, ai protagonisti della “catastrofe umanitaria più grande dopo la seconda guerra mondiale”, fuggiti da guerre e violenze. Francesco, il patriarca Bartolomeo e l’arcivescovo Ieronymus, tre leader religiosi, uno al fianco dell’altro, si incamminarono tra le tende dell’inferno di quel campo, abbracciarono quell’umanità ferita per rassicurarla della loro vicinanza e per chiedere al mondo di non chiudere gli occhi davanti alla sofferenza di chi è costretto a “fuggire da situazioni di conflitto e di persecuzioni”, di chi “non è un numero ma un volto e un nome e una storia”:

“Siamo venuti per richiamare l’attenzione del mondo su questa grave crisi umanitaria e per implorarne la risoluzione. Come uomini di fede, desideriamo unire le nostre voci per parlare apertamente a nome vostro. Speriamo che il mondo si faccia attento a queste situazioni di bisogno tragico e veramente disperato, e risponda in modo degno della nostra comune umanità”.

L’invito di Francesco a “non perdere la speranza”
Francesco, in quel viaggio della primavera del 2016, non dimenticò di citare l’orrore delle morti in mare, dei bambini mai arrivati, delle “vittime di viaggi disumani e sottoposte alle angherie di vili aguzzini”. E non dimenticò neanche la generosità del popolo greco, con la sua capacità di rispondere alle sofferenze di altri “nonostante le gravi difficoltà da affrontare” tenendo “aperti i cuori e le porte”. Francesco sollecitò la comunità internazionale a fare lo stesso: l’Europa, patria dei diritti umani, avrebbe dovuto seguire l’esempio del buon samaritano, nel “mostrare misericordia a chi è nel bisogno”, avrebbe dovuto lavorare per rimuovere le cause di questa drammatica realtà. “Non basta limitarsi a inseguire l’emergenza del momento – furono le parole del Papa – ma occorre sviluppare politiche di ampio respiro, non unilaterali”, fermando, inoltre, “la proliferazione e il traffico delle armi e quanti perseguono progetti di odio e di violenza”. Non perdete la speranza, fu il messaggio che il Papa lasciò agli ospiti di Moria, perché di fronte “alle tragedie che feriscono l’umanità, Dio non è indifferente, non è distante”:

“Questo è il messaggio che oggi desidero lasciarvi: non perdete la speranza! Il più grande dono che possiamo offrirci a vicenda è l’amore: uno sguardo misericordioso, la premura di ascoltarci e comprenderci, una parola di incoraggiamento, una preghiera. Possiate condividere questo dono gli uni con gli altri”.

Papa Francesco a Lesbo, la visita nel campo di Moria
La dichiarazione congiunta e la richiesta di solidarietà
I tre leader religiosi lasciarono Lesbo affidando all’umanità una dichiarazione congiunta, sollecitando, per la tragedia umanitaria che vivono gli immigrati, “una risposta di solidarietà, compassione, generosità e un immediato ed effettivo impegno di risorse” perché la “protezione delle vite umane è una priorità”. Fecero appello alla comunità internazionale, chiedendo di eliminare le rotte di viaggio pericolose che attraversano l’Egeo e tutto il Mediterraneo, di provvedere a “procedure sicure di reinsediamento”, di fare “della protezione delle vite umane una priorità e a sostenere, ad ogni livello, politiche inclusive che si estendano a tutte le comunità religiose”. Le ultime parole di Francesco furono quelle di una preghiera per i migranti, quando li affidò alla misericordia di Dio, mentre il suo ultimo gesto fu profetico: far salire a bordo del suo aereo tre famiglie del campo di Karatepe, in tutto 12 persone, tra cui sei minori. Nour, siriana come tutti gli altri, era a bordo assieme al marito Hasan e al figlioletto di due anni.

L’incontro con la cittadinanza e la Preghiera per i Migranti
La storia di Nour e Hasan
Allora aveva 31 anni, era fuggita con la famiglia dalla periferia di Damasco. Dalla Turchia fu un gommone a portarli a Lesbo. Oggi Nour Essa e famiglia vivono a Roma, dove è biologa all’ospedale pediatrico Bambino Gesù. “Ringrazio Papa Francesco – racconta oggi a Vatican News – per tutto ciò che ha fatto per noi, per averci cambiato vita e destino”. Nour ha ancora ben nitide nella sua memoria le immagini di quella partenza per Roma, decisa solo 24 ore prima. Ricorda le fasi del volo, il Papa sempre “sorridente”, che mostra ai giornalisti a bordo “un disegno fatto da un ragazzo che era a Moria”. Tutto quel poco che sapeva del Vaticano lei, musulmana come tutti gli altri, lo aveva imparato dalla televisione.

Il ruolo della Comunità di Sant’Egidio
Artefice della partenza di Nour e degli altri fu la Comunità di Sant’Egidio, alla quale direttamente il Papa, soltanto pochi giorni prima, aveva confidato il suo desiderio di rientrare a Roma con qualche famiglia di profughi. “Fu un’emozione fortissima per tutti noi”, ricorda Daniela Pompei, responsabile della Comunità per i servizi agli immigrati, rifugiati e Rom, volata soltanto tre giorni prima della visita di Francesco sull’isola di Lesbo per individuare le persone, le più vulnerabili, che sarebbero partite col Papa.

“Mai avremmo pensato – ricorda la Pompei – di salire sull’aereo del Papa, lo abbiamo saputo solo la sera prima, pensavamo che saremmo partiti con un volo di linea”. In soli tre giorni, nel campo di Karatepe, furono individuate le famiglie, le più vulnerabili, con i bambini piccoli. Tutte famiglie di religione islamica, un punto che fu oggetto anche di domande dei giornalisti a bordo dell’aereo papale. A ricordare la risposta di Francesco è sempre la Pompei: “Il Papa fu molto chiaro: quando si parla di persone che scappano dalla guerra non si guarda al discorso religioso, si devono salvare delle vite umane. Quello che ha prevalso era l’idea di salvaguardare la vulnerabilità che è rappresentata dalle famiglie e da bambini molto piccoli che non possono vivere in una situazione di un campo”.

Krajewski in visita a Lesbo
Lesbo, una tragedia senza fine
Fu senz’altro il viaggio del Papa a Lesbo ad aprire il primo corridoio umanitario dalla Grecia. Da allora la Comunità di Sant’Egidio non ha più abbandonato quel Paese, così come non l’ha mai abbandonato lo stesso Francesco. “Ce l’ha nel cuore, prega per Lesbo e per i profughi che sono lì”. Tanto che dopo aver incontrato Andrea Riccardi, il fondatore di Sant’Egidio, appena rientrato dall’isola greca, Francesco decise di inviare a Lesbo il cardinale Konrad Krajewski, elemosiniere pontificio, che vi si recò nel 2019, un viaggio che in pochi mesi portò all’arrivo in Italia di 43 persone, grazie all’azione comune tra la comunità di Sant’Egidio e l’Elemosineria Apostolica. Mentre l’Europa continua nel suo silenzio sulla tragedia umanitaria di Lesbo e dei suoi abitanti più vulnerabili.