Il Recovery Plan di Conte per il M5S

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«Vedi, Nicola, quello che sta capitando a te mi ha aperto ancora di più gli occhi. È giusto che in un partito o in un movimento ci siano opinioni diverse ma chi è chiamato a guidarlo non può diventare il destinatario di un perenne logoramento interno, come sta succedendo a te. Io sto preparando questo piano per la rifondazione del M5S ma mi sono lasciato le mani libere. Se lo accettano integralmente, bene. Altrimenti». Vive un po’ a Firenze e un po’ a Roma.

Riceve e fa telefonate con un ritmo non meno frenetico rispetto a quello che manteneva alla tolda di comando di Palazzo Chigi e in molti casi gli interlocutori sono gli stessi, da Luigi Di Maio a Roberto Speranza, da Goffredo Bettini a Dario Franceschini. Ma quando l’altro giorno ha sentito al telefono Nicola Zingaretti per manifestargli solidarietà e vicinanza, erano le ore concitate delle dimissioni dalla segreteria del Pd, Giuseppe Conte ha lasciato intendere quella lezione l’ha già metabolizzata.

Non si farà logorare dal dissenso interno, dalle correnti, dagli individualismi; e accetterà l’incarico di rifondare il M5S «solo se» il Movimento accetterà il suo piano di rilancio dalla prima all’ultima riga. Qualcuno, tra le persone con cui parla al telefono di frequente, ha scherzato con l’ex presidente del Consiglio facendogli notare che «sei passato da un Recovery plan a un altro».

Il professore ha raccolto l’ironia, rispondendo che il suo Next generation M5S sarà persino «più preciso e vincolante» di quello che riguarda il futuro dell’Unione europea. Conte, che sta ascoltando tutti, a cominciare da Grillo e Di Maio, presenterà un lavoro diviso in capitoli.

Dentro ci saranno una nuova «carta dei valori», che orienterà l’azione di un Movimento decisamente meno populista e decisamente più liberale; una piattaforma programmatica, che conterrà molte delle suggestioni di chi preme per trasformare il M5S in quel partito ambientalista di massa che in Italia ancora non c’è; una proposta netta e senza fraintendimenti su come sbrogliare il nodo in cui si aggrovigliano ancora il Movimento e l’Associazione Rousseau, Grillo di qua e Casaleggio di là; e soprattutto un’idea di governance quasi notarile, dove dirige chi è chiamato a dirigere e comanda chi è chiamato a comandare, e cioè lui. Dal «direttorio» al «direttore», tanto per capirci.

E il pacchetto va accettato per intero. Qualcuno potrebbe pensare che, diventando leader del Movimento, Conte rinuncerebbe in partenza al ruolo di «collante» di quel nuovo centrosinistra su cui insistono Grillo, Di Maio, Articolo 1 di Speranza e Bersani più la maggioranza attuale del Pd, che però sulla questione si divide ed è destinato a dividersi ancora. In attesa che i Democratici sbroglino la matassa nel confronto interno, la questione del «federatore» potrà essere sistemata in futuro prendendo in prestito quel lodo che regola, per esempio, la vita interna del centrodestra.

«Lega, Fratelli d’Italia e Forza Italia», gli ha fatto notare uno degli interlocutori con cui si confronta più spesso, un ministro del suo ex governo, «fanno così: chi prende più voti alle elezioni diventa automaticamente il leader della coalizione. Potremmo seguire l’esempio anche da questa parte, no?». Il tema non è di stringente attualità; anzi, è uno dei tasti su cui l’ex premier ha intenzione di battere di meno, almeno per adesso. Soprattutto dopo che il sondaggio del Tg La7 della scorsa settimana, che dava conto del possibile exploit di un M5S a guida Conte, con voti sottratti soprattutto al Pd, ha innescato un terremoto politico interno che ha finito per travolgere il Nazareno.

Il «qui e ora» di Conte è solo nella risposta che i Cinquestelle daranno al suo piano di rilancio. In caso di risposta affermativa, l’Avvocato potrebbe portare con sé Rocco Casalino e affidargli la comunicazione soprattutto nelle fasi di campagna elettorale. E, sempre a proposito di campagna elettorale, non è chiusa affatto – smentite tattiche a parte – la partita che lo porterebbe a entrare in Parlamento alle elezioni suppletive del collegio senese lasciato libero da Pier Carlo Padoan. Si voterà in autunno, e non più a in primavera. Il tempo per mettere le cose a posto col resto della coalizione, o per complicarle più di quanto non siano già, c’è tutto                                                                                                                             .(Tommaso Labate – il Corriere della Sera)