La crisi sanitaria ha colpito duramente il mondo dello sport

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Un mondo che dà lavoro a centinaia di migliaia di persone che vivono in un limbo, non avendo spesso nessuna tutela (malattia e contributi) ma che con questa attività hanno posto rimedio alla carenza di occupazione e contribuito al miglioramento della salute del paese. Oggi molti lavoratori sportivi e gestori degli impianti però si domandano di cosa debbano campare, perché dallo scorso anno sono finiti i decreti ristori che garantivano a queste persone un minimo sostentamento e, non potendo esercitare per imposizione di sicurezza, non hanno alcun reddito. Ma oltre alle necessità oggettive di avere un reddito per vivere (non si campa di aria) gli affitti e le utenze corrono, i prestiti concessi si accumulano, quindi molte palestre ed impianti probabilmente non riapriranno neppure così, per effetto domino, molti lavoratori sportivi non sanno già di che campare e non hanno nessuna tutela da parte dello stato che ha bloccato le loro attività. Parliamo di più di centomila strutture stimate, circa 1/3 della popolazione italiana come utenti, con un’attività che vale anche miliardi di euro di risparmio della spesa sanitaria. Il ministero dello sport del governo Conte ha elargito soldi “a pioggia” sul settore senza discernere con accuratezza chi effettivamente viveva solo di sport da chi no, ecco come – una volta depauperate maldestramente le risorse – si è arrivati ad una situazione di stallo. Oggi questo comparto chiede legittimamente delle risposte che, considerando la lentezza del piano vaccinale, con una buona dose di responsabilità e coscienza, anche politica, deve significare obbligare il governo ad intervenire massicciamente e in maniera mirata, elargendo soldi per pagare affitti, utenze e per garantire a chi vive di sport un reddito adeguato. Nei paesi socialisti lo sport è sempre stato un bene primario di salute fisica, mentale e culturale, del popolo, quindi per i comunisti è un’irrinunciabile tassello a cui guardare.