La menzogna dell’euro “irreversibile”

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This combination photo made up of file photos of from left, Christine Lagarde, Ursula von der Leyen, Josep Borrell and Charles Michel. European Union leaders have broken a deadlock Tuesday July 2, 2019, and proposed their candidates for top posts in the bloc after three days of arduous negotiations. They have nominated German Defense Minister Ursula von der Leyen to become the new president of the blocǃÙs powerful executive arm, the European Commission, taking over from Jean-Claude Juncker for the next five years. EU Council President Donald Tusk says that Belgian Prime Minister Charles Michel will take over from him in the fall. (AP Photo)

Lo scorso 15 febbraio Eurostat (l’Istat europeo) ha pubblicato i dati del commercio internazionale nell’area Ue. Dentro quelle tabelle ci sono dati interessanti. Anche se le statistiche si riferiscono ai soli beni e non anche ai servizi. Questi ultimi ammontano mediamente al 10% dei primi. I numeri sono comunque significativi.
Germania, in arrivo segnali importanti

Si comincia col sottolineare che l’Italia ha un surplus commerciale di +64 miliardi. A tanto ammonta infatti la differenza fra il nostro export ed il nostro import; in aumento rispetto ai 56 miliardi del 2019. Valuta di residenti stranieri che supera quella che esce dalle nostre frontiere. Peraltro, Banca d’Italia ci dice che l’Italia sta diventando un creditore netto nei confronti dell’estero visto che le sue partite attive superano le passività con i non residenti di circa 3 miliardi. Ad inizio 2019 eravamo a -49 miliardi. Dovrebbero essere tutte buone notizie. E invece no. O comunque non troppo.

Intanto fissiamoci in testa che il 90% del surplus commerciale italiano è fatto con paesi extra Ue. Quindi esiste vita fuori dei confini europei. E chi l’avrebbe mai detto? Addirittura, la Germania è diventato un importatore netto nei confronti dell’Ue (-12,5 miliardi) a fronte di un avanzo complessivo pari a 195 miliardi (erano +228 del 2019). Anche questa non è buona notizia per noi. Tutt’altro. È un segnale importante. La Germania ha preso sul serio il problema Covid e ha cercato di rilanciare la domanda interna. Più un Paese consuma più importa. E viceversa. Quindi il suo import complessivo è diminuito meno del suo export. Berlino ha quindi sostenuto i consumi interni più di quanto abbiano fatto gli altri.
Eurozona, problemi in vista

La diminuzione dell’Iva in terra di Germania ha avuto i suoi effetti. Ecco perché questi numeri non sono una buona notizia. Quando saremo infatti fuori dal Covid la frattura fra Italia e Germania sarà ancora più profonda. Ricordatevi che quando Romano Prodi ha sciaguratamente deciso di farci entrare dentro la moneta unica il nostro reddito era pari al 93% di quello tedesco. A fine 2022 sarà pari al 70%. Lo dico perché Mario Draghi ha un bel dire che sostenere il suo governo “significa condividere l’irreversibilità della scelta dell’euro”. Eh già anche perché è stato proprio lo stesso Draghi a spiegarci il 23 maggio 2015 che “in un’unione monetaria non puoi permetterti di avere grandi e crescenti divergenze strutturali. Tendono a diventare problemi esplosivi e minacciano l’esistenza della moneta unica”. E lui di questa roba ne sa certo più di chiunque altro.

L’Eurozona convive con tassi zero (anzi negativi) praticamente dal 2015. Dal 2014 la Bce ha addirittura aggiunto la bellezza di 5 mila miliardi al suo bilancio. Tutti creati dal nulla. E teoricamente non eravamo in crisi. La mia opinione – e sono sicuro pure quella di Mario Draghi – è che questa roba sia servita a tenere in piedi un’eurozona piena di fratture al suo interno. Quelle fratture di cui parlavamo prima. Ed ora siamo nel pieno di una crisi. Praticamente abbiamo vissuto sotto morfina da anni. Mi spiace. A me non sembra normale. E da Berlino arrivano rumori adorabilmente sinistri per qualsiasi euroscettico. La Bundesbank, per bocca del suo presidente Weidmann, ha messo in guardia la Bce. In Germania la prospettiva di un’inflazione al 3% non è affatto teorica. Quindi bisognerà dire basta alla politica di accomodamento quantitativo. Basta coi soldi facili.