La pandemia ha rimpolpato le fila dei malati di gioco d’azzardo

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Giovanissimi giocatori e mature donne in cerca di fortunati e rapidi guadagni crescono. Dalle slot machine alle scommesse online: la pandemia ha fatto registrare in generale un aumento di giocate pari al 29% rispetto all’ anno precedente. Tra i nuovi patiti dell’ azzardo ci sono i ventenni che, costretti a stare in casa e invogliati a iniziare con un credito offerto per innescare la spirale senza fine della ludopatia, hanno maturato come passatempo la febbre del gioco online. E qui la tecnologia aiuta: basta uno smartphone tra le mani, o un click al joystick del proprio computer, per crearsi una comoda sala giochi virtuale in casa.

Ma ad ingrossare le fila del popolo dei ludopatici (1,5 milioni secondo l’ Istituto superiore di sanità i “giocatori problematici”) sono soprattutto le donne. Giovani, ma anche mogli, madri o pensionate over 70. Iniziano quasi tutte con un “gratta e vinci” acquistato al Tabacchi e finiscono col perdere ore e fortune davanti a una slot machine piazzata nel bar o nella sala giochi più lontana da casa.

«Ci sono donne che dopo aver perso tutto si prostituiscono per poter continuare a giocare», confida Francesco, 72 anni, di Milano, tra i responsabili dell’ associazione “Giocatori anonimi italiani” (la mail è info@giocatorianonimi.org, tel. 331.271215) che ha sotto l’ ala 1.500 vittime del gioco, da sette anni guarito lui stesso dalla ludopatia. «Ma anche uomini, pronti a far sesso con altri uomini. Purtroppo col Covid sono aumentate le richieste di aiuto al nostro centralino da parte dei giocatori che hanno ricadute, oppure di nuove vittime che nella chiusura forzata peggiorano e prendono coscienza di essere entrate nella spirale infernale dell’ azzardo».

Si è ripreso, grazie alla moglie che è rimasta a lui vicina nonostante la conclamata povertà.

Ho visto persone che non ce l’ hanno fatta a superare la ludopatia e si sono tolte la vita, altre che hanno chiesto aiuto e si sono salvate dopo essere cadute nel baratro. Una cosa è certa: la ludopatia è un dramma, una malattia, una droga e da soli non se ne esce».

Quello della dipendenza da azzardo è un fenomeno tutt’ altro che marginale, visti i numeri presentati lo scorso anno dall’ Osservatorio nazionale in Parlamento, se solo si pensa che in Italia si stimano 8/10 milioni di giocatori. Una curiosità: le regioni con la più alta vocazione al gioco sono l’ Abruzzo, dove la media pro-capite per puntate è di 1.770 euro. Seguono Lombardia (1.725), Campania (1.611), Emilia-Romagna (1.607), Lazio (1542) e in fondo alla lista c’ è la Valle d’ Aosta con 879. Pavia è stata per anni la città con la più alta percentuale di giocatori.

LE SLOT DILAGANO

Il fenomeno più dilagante è quello dello slot machine. Molti iniziano mettendo un euro dato di resto dal barista mentre bevono un caffè al volo, e finiscono per passare ore a sfidare la sorte buttando via fino a duemila euro al giorno.

«Io sono stata una giocatrice compulsiva parecchi anni fa.

Oggi sono quindici anni che frequento l’ associazione G.A (Giocatori anonimi, ndr).

Non dico che sono uscita, sono sempre sotto controllo. Da questa malattia non si guarisce mai, ma si può imparare a fermarsi». Così la pensa Anna, 73 anni, milanese. «Mi spinse mio marito, imprenditore che mi ha lasciato alcuni anni fa, a frequentare l’ associazione. Mi diceva che ero malata, ma io non me ne rendevo conto – aggiunge -. Mi dicevo: “smetto quando voglio”, invece non si smette mai, anzi». Anna nel 1974 è stata la prima donna driver a scendere in pista a San Siro. «Lì ho iniziato a scommettere ai cavalli, lì mi sono ammalata. Non mi sono più fermata. Mi sono giocata la mia scuderia e tutti i cavalli, persino la mia piscina. Mi sono trovata senza nulla. Dopo i cavalli infatti sono passata alle slot.

Quegli apparecchi ti mandano in pappa il cervello. Sarà la musichetta, i colori, il video Non ti rendi conto del tempo che passi, non mangiavo nemmeno più. Quanti soldi mi sono giocata? Talmente tanti che non so dire».

L’ ultimo bilancio ufficiale sul gioco d’ azzardo, stilato nel settembre 2020 dall’ Agenzia delle Dogane e del Monopoli, segnala un volume di raccolta su rete fisica (no online) pari a 74,1 miliardi di euro, per una raccolta procapite pari a 2.180 euro. Slot machine e videolottery si confermano i più utilizzati (46,7 miliardi nel 2019), inglobando il 63% delle giocate complessive su rete fisica.

Va detto che questi apparecchi da intrattenimento, soggetti a continue tassazioni da parte dello Stato, forniscono i due terzi del gettito erariale. Intanto prosegue inarrestabile la crescita della raccolta online: nel 2019 è stata pari a 36,4 miliardi di euro (+16% rispetto al 2019), un terzo delle giocate complessive in Italia.

«La mia vita era finita, ho tentato un paio di volte di morire, ero diventata uno zombie» racconta Lucia, 57 anni, operatrice sanitaria romana, dipendente in una Rsa. «Sono finita in strada, dormivo in auto con le mie cose negli scatoloni perché spendevo tutto e non potevo più pagare l’ affitto, ero piena di debiti fatti con le finanziarie per poter giocare. Poker, slot, ero malata di tutto.

L’ ultima volta che ho giocato, esattamente 5 anni e 8 mesi e 19 giorni fa, ero alla slot e avevo appena preso lo stipendio di 1400 euro. Ne avevo vinti 500 e alla fine in un’ ora ho perso tutto, non avevo più un euro per prendermi un caffè. Da lì ho chiesto aiuto a un’ amica che mi ha introdotto nell’ associazione giocatori anonimi e grazie a loro ne sono uscita. Oggi lavoro e sto ancora pagando i debiti accumulati, ma sono una donna libera, capace di vivere. Sono una giocatrice compulsiva: sono uscita dal tunnel quando ne ho preso atto».

BINGO FATALE

Cristina di Ravenna, casalinga over 50, era invece una patita del Bingo. «Ho iniziato a 40 anni, in concomitanza con le prime crepe del mio matrimonio. Pensavo fosse un passatempo per starmene fuori casa la sera, il Bingo mi sembrava un gioco innocente. Mi sono trovata ad esserne schiava. Ricordo l’ euforia della prima vincita, 500 euro. Li portai a casa con molto orgoglio, ma quello fu l’ inizio della fine. La mia dipendenza è durata dieci anni, mi sono giocata molto, decine di migliaia di euro.

Mi sono giocata anche il mio matrimonio. Quando ho iniziato a chiedere prestiti a un fondo finanziario, è subentrata per me la vergogna e la presa di coscienza della mia malattia». Prosegue Cristina: «Una donna che gioca mette in discussione il suo ruolo, sei anche un esempio cattivo di madre. Quando ne ho preso atto ho chiesto aiuto all’ associazione. Non ho più giocato neppure un centesimo. E posso dire una cosa banale? Ora che non gioco sono una donna felice».                                                                                   Simona Pletto