La portasilenzi e la sedazione dei soffietti

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So bene che tra le incombenze più fastidiose che funestano l’esistenza di un direttore di giornale ci sono le telefonate dei cosiddetti portavoce che a nome dei rispettivi datori di lavoro – premier, leader di partito, ministri e perfino sottosegretari – si dolgono per qualche titolo o articolo non particolarmente favorevoli. Può anche capitare che sia il papavero medesimo a farsi vivo, ma la solfa è sempre la stessa: siete dei diffamatori (mascalzoni, delinquenti, eccetera), voi ce l’avete con me (con la mia parte politica, la mia famiglia ecc). Non di rado alla rampogna si accompagna il riferimento a un eventuale mandante (in genere un rivale di partito) in modo da aggiungere al brodo il sospetto che la pubblicazione dello scritto faccia parte di un sordido complotto.

Pensiamo che con sgradevolezze del genere, Paola Ansuini, assai stimata portavoce (o meglio portasilenzi) di Mario Draghi a Palazzo Chigi non debba per sua fortuna misurarsi vista l’accoglienza ricevuta dal premier (a parte qualche rarissima, deplorevole eccezione). Potrebbe avere semmai il problema opposto, poiché un profluvio di sperticate lodi nel generare un profluvio di fiduciose attese può rischiare di determinare un analogo profluvio di speranze disattese. Ci auguriamo naturalmente che non sia così, ma considerata la mole e la drammaticità della crisi che Draghi è chiamato ad affrontare (e a risolvere sollecitamente) forse un po’ di acqua sul fuoco delle trepidanti attese non guasterebbe. Chi è più ferrato di noi sulla materia saprà spiegare le ragioni profonde che hanno determinato e alimentano sui giornali le celebrazioni dell’Avvento. Col trascorrere dei giorni, infatti, l’ansia di servitù volontaria e l’eccesso di salivazione congenita non bastano da soli a spiegare l’attesa miracolistica riguardo a tutto ciò che il premier non dice, o ancora non fa. Per cui, ieri, alla lettura sulla Stampa di un passo evangelico di Massimo Recalcati dal titolo (che dice tutto): “Il draghismo e la legge del padre”, una certa fantasia sfrenata ci ha portato a immaginare la creazione di un’apposita figura di portavoce, dispensatore di bromuro e addetto alla sedazione dei soffietti. Con dialoghi del tipo: “Il presidente non gradisce che la sua persona venga ricoperta di parole come ascetismo, laboriosità, dedizione che sembrano glassa sulla torta, e che si parli di Legge del padre come se fosse dio. Sono espressioni che lo imbarazzano e che i suoi critici possono usare per dileggiarlo. Lui vuole essere giudicato esclusivamente sulle cose che fa”. “Ma…”. “Ma un corno, si contenga”.                                                                                                                di Antonio Padellaro – Il Fatto Quotidiano