La vendetta del “dittatore”: bloccati elicotteri per 70mln

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Avrà pure ridato dignità all’Italia, come pensa gran parte del centrodestra, ma la sortita di Mario Draghi contro la Turchia, anzi contro il “dittatore” Erdogan, ha già iniziato ad avere ripercussioni economiche. A quanto risulta al Fatto sarebbe stata bloccata la commessa di elicotteri destinati da Leonardo alla Turchia dal valore di 70 milioni di euro.

La notizia era apparsa in forma dubitativa ieri mattina su La Stampa, ma ora si parla di un blocco sia pur momentaneo. Leonardo, contattata dal Fatto, non ha dato risposte (e ieri il sito della compagnia è andato in down). Diverse imprese che operano in Turchia hanno già espresso le loro preoccupazioni alle autorità per eventuali ripercussioni e tra queste ci sarebbe anche Ansaldo. La Turchia, dopo la convocazione, a caldo, dell’ambasciatore italiano, ha fatto ora sapere che vorrebbe un chiarimento pubblico da parte di Draghi e si parla di una possibile telefonata tra il presidente del Consiglio e il presidente turco.

In tanti si chiedono a cosa sia dovuta la sortita di Draghi. Anche perché, molti studiosi non condividerebbero la definizione di “dittatore” data di Erdogan: “L’opposizione è sotto assedio, ma esiste, è vitale, si batte in Parlamento e nelle piazze”, spiegava ieri Mariano Giustino nella sua settimanale, e molto dettagliata, rassegna stampa turca su Radio Radicale.

E poi se Erdogan è un dittatore cos’è l’egiziano al Sisi? Cosa dire delle vicende di Giulio Regeni e Patrick Zaki? Eppure proprio ieri l’Italia ha fatto salpare verso l’Egitto la seconda fregata multimissione Fremm, che faceva parte dell’accordo di vendita per due navi militari siglato nel 2020. La nave, il cui nome è stato mutato in Bernees e con il numero di immatricolazione egiziano 1003, come afferma la Rete Pace Disarmo, è attesa in Egitto per la cerimonia ufficiale.

Due pesi e due misure che lasciano sorpresi molti osservatori tanto che negli ambienti politici romani si addebita la dichiarazione di Draghi o a un tentativo di visibilità per fronteggiare il calo dei consensi o, addirittura, a una “voce dal sen fuggita”, sintomo di improvvisazione.

Altro problema non da poco e che preoccupa la nostra diplomazia è la ricaduta possibile in Libia, dove la Turchia ha un ruolo ormai inaggirabile. Solo giovedì scorso, poche ore prima delle dichiarazioni di Draghi, l’ambasciatore italiano ad Ankara aveva elogiato il ruolo della Turchia nella soluzione politica in Libia affermando: “Penso che anche il governo turco, che ha lavorato a stretto contatto con l’Italia, abbia dato il suo contributo molto positivo a questa soluzione”. Parlando virtualmente con un gruppo di giornalisti dell’Associazione dei corrispondenti diplomatici della Turchia, Massimo Gaiani ha affrontato diverse questioni relative alle relazioni turco-italiane, nonché questioni regionali e internazionali. “Penso che questo importantissimo passo porterà un trend positivo e che più avanti le questioni della presenza militare verranno risolte. Siamo sulla strada giusta. Continueremo il dialogo molto stretto tra Italia e Turchia su questioni libiche, nello spirito di stabilizzare il Paese”.

Poi le frasi di Draghi e la tensione che inevitabilmente si ripercuoterà anche sul governo di Abdul Hamid Dbeibah che è senz’altro filo-turco ma che, grazie alla forte pressione degli Usa, ha impostato una fase di rapporti positivi con tutti a partire dall’Italia. Desta stupore, quindi, che nonostante il primo viaggio internazionale di Draghi sia stato in Libia subito dopo abbia contribuito a complicare quel dossier con l’attacco a Erdogan.

È probabile che anche di questo discuteranno Luigi Di Maio e il Segretario di Stato Anthony Blinken a Washington in quello che è il primo viaggio di un ministro presso l’Amministrazione Usa da quando Joe Biden si è insediato. Un successo diplomatico per il ministro italiano, generalmente sbeffeggiato dalla stampa liberale, e che mira a ribadire le relazioni transatlantiche italiane.                                                                                                                                                                 di Salvatore Cannavò