La vera sfida è riprendere la battaglia federale

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In Europa, per fortuna, esistono ancora lingue e tradizioni diverse, popoli che hanno il senso della loro appartenenza, e che anzi oggi la sentono maggiormente a causa dei flussi migratori incontrollati. Popoli che si identificano con gli Stati esistenti, oppure popoli – come i catalani – che reclamano la loro indipendenza. Persino le spinte secessionistiche peraltro non sono necessariamente in contrasto con la logica statuale; al contrario, ne costituiscono l’autentica e originaria espressione: il momento in cui il popolo si fa Stato, si autodetermina come nazione. Chi invece riconosce il proprio Stato lo fa per il senso di appartenenza nazionale che continua a sentire, senza per questo negare la propria origine.

In Italia oggi “voglia di nazione” e richieste di autonomia possono convivere. Queste richieste infatti non si presentano più in forma di rottura secessionistica. Ci si sente italiani in quanto piemontesi, liguri, calabresi, siciliani, etc. Questo è il messaggio della Lega. Come tenere insieme, però, questo senso di appartenenza nazionale con quell’identità regionale o locale che, in un Paese come l’Italia, non ha mai cessato di esistere?

Ciò che nei miei ultimi scritti ho chiamato “sovranismo debole”, cerca di rispondere a questa domanda, e si tratta di un sovranismo che si distingue da quel vecchio modello di “sovranità” forte, leviatanica e centralizzatrice, che si è imposto pure in Italia.

Oggi si discute dell’“autonomia” delle Regioni, in particolare di Lombardia e Veneto, richieste sostenute anche da un referendum popolare, o a quelle dell’Emilia Romagna che si è aggiunta senza consultazione popolare. E anche la Liguria si sta muovendo nella stessa direzione.

BENEFICI LIMITATI

Chi oggi vede in questo un pericolo per la “coesione nazionale” non ha capito niente. In realtà tutto il regionalismo dovrebbe essere differenziato: ogni Regione italiana ha le sue peculiarità. Il problema semmai è un altro.

La nostra Costituzione consente di discutere l’autonomia ma solo nel senso di decentramento amministrativo. La Regione insomma non può stabilire quale autonomia vuole, non può ad esempio determinare con leggi regionali quali siano le leggi nazionali che intende disapplicare. Se facesse questo andrebbe oltre quanto stabilito dalla Costituzione. Insomma, il regionalismo può essere differenziato, ma entro certi limiti. Allora vorrei sollevare il seguente problema.

Avrebbe senso pensare finalmente ad una vera riforma in senso federale dello Stato? Perché è l’intero Stato che dobbiamo ripensare. Il punto è: cosa vuol dire autonomia? L’autonomia può essere pensata in due modi sostanzialmente diversi: come richiesta di decentramento amministrativo, oppure in senso più profondo, federalistico.

Nel primo caso lo Stato si organizza al suo interno senza ridurre il potere centrale ma delegando al potere periferico certe funzioni. Nel secondo caso invece lo Stato trasferisce parte dei suoi poteri a organi che restano sì sottostanti allo Stato federale, ma che vengono dotati di vera autonomia politica. In questo modo il potere centrale dello Stato viene effettivamente ridotto a vantaggio di altri organi periferici. È quello che avviene con un’organizzazione statale di tipo federale.

LA POSTA IN GIOCO

Ecco, allora, il vero nodo di fondo lasciato irrisolto dalla riforma costituzionale del 2001: mero decentramento o autentico federalismo? La Lega dovrebbe sciogliere questo nodo e partendo dalla giusta rivendicazione delle richieste autonomistiche costruire il progetto di una riforma dello Stato in senso federale. Questa è la vera riforma costituzionale di cui ha bisogno il Paese, non quella della diminuzione del numero di parlamentari di cui oggi il parlamento discute.

Dopo il fallimento di Renzi, ciò di cui abbiamo bisogno è una riforma in senso “federale” dello Stato. I fallimenti del passato non devono essere considerati un ostacolo per il futuro. La nuova Lega nazionale dovrebbe continuare a lottare per realizzare il sogno del federalismo. E invece è nuovo stallo persino sulle autonomie.

Per Salvini il matrimonio con i pentastellati deve continuare, avrà certo le sue buone ragioni per aver scelto così, ma deve stare attento perché prima o poi i suoi “figli” si ribelleranno anche a lui, se continua solo a parlare, ma poi di fatto le decisioni importanti (autonomie, riduzione delle tasse, minibot, etc. etc.) vengono sempre rinviate.                                                                                                                                              di Paolo Becchi su Libero, 10/07/2019