L’aborto non è un diritto. La testimonianza che ci insegna questa lezione di vita

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Qualche giorno fa ho ricevuto su messenger questa testimonianza da far tremare i polsi. Vi invito con tutto il cuore a prendere cinque minuti del vostro prezioso tempo per leggere le parole semplici e disarmanti di questa guerriera. Dedicato soprattutto a coloro che sono ancora convinti che sopprimere il proprio figlio sia un “diritto”.

“Ciao Anna, ti seguo da un po’ ormai, prima di tutto per la Lis. Poi ho visto la tua campagna contro l’aborto e volevo raccontarti la mia storia. Io sono una ragazza di 30 anni ed ero fidanzata da 13 anni con il mio compagno storico, convivevamo da 8 anni in una casa che abbiamo comprato e arredato insieme. L’anno scorso sono rimasta incinta (non la cercavamo, pensavamo prima a sposarci). Io ero contentissima. Appena ho ricevuto l’esito delle analisi sono andata subito a comprare dei calzini per neonati per dargli la notizia quella sera stessa appena tornava dal lavoro. Così gli ho preparato una bella cena a lume di candela. Eppure, non appena gli ho rivelato la verità ha cominciato ad alzare la voce contro di me.

Diceva che non era pronto e che avrei dovuto abortire. Dopodiché è passato alle maniere dolci dicendomi che tante coppie storiche come noi hanno deciso di abortire per poi riprovarci l’anno successivo o quando sarebbero state più pronte. Io ero sconvolta. Da un lato sentivo il mondo crollarmi addosso, dall’altro mi convincevo piano piano che lui avesse ragione. In fondo, può esistere una famiglia se già a priori un papà viene a mancare? Con quale valore metto al mondo una creatura che soffrirà sempre il confronto con gli altri bimbi? Una bimba che farà lavoretti per la festa del papà a scuola senza averne uno a cui donarli. Ormai ero in loop. Avevo in testa una confusione unica. Dentro di me continuavo a ripetermi che se dopo 13 anni lui non era ancora pronto, quando mai lo sarebbe stato? Nel frattempo lui mi ha costretta a farmi visitare da un ginecologo per convincermi ad abortire. Io non riuscivo a reagire. Ero distrutta.

Avevo una creatura nella pancia che avevo da sempre desiderato e chissà se avrei mai potuto averne altre. E poi avevo lui, il primo e unico amore della mia vita. Non conoscevo altra storia se non quella con lui. Come potevo mettere al mondo una bambina senza un papà? Ma come potevo abortire e rimanere con una persona che non mi rispettava? Alla fine, per lo stress ho avuto perdite. Magicamente lui tornò ad essere una persona buona e mi diceva che se avessi perso la creatura che portavo in grembo ci avremmo riprovato. Ad un certo punto le perdite si sono fermate, tutto procedeva fino al suo ultimatum: o abortisci o ti caccio di casa!

Non trovo parole per descriverti il mio stato d’animo. Ero spenta, succube, spaventata (gli ormoni aumentavano la tensione) non riuscivo ad essere lucida. Piangevo, piangevo tutta la notte, tutto il giorno. Dopo di che decisi di parlare con i miei genitori e non ci pensarono un secondo. Mi vennero a prendere e mi riportarono a casa per mettermi nella condizione di poter prendere una decisione serena. Decisi di abortire, mentre lui continuava a farmi pressione da lontano. Mi chiamava a notte fonda per tenermi sotto controllo e non farmi cambiare idea. Diceva che ero una sottona. Che non potevo essere una pecora che non voleva abortire solo perché lo dice Dio (lui ateo). Non dovevo fare la paesana. Mi diceva -quel coso che hai nella pancia non c’entra nulla con noi-. Io stavo uscendo pazza. Lui mi faceva sentire pazza. Aveva deciso che dovevo abortire per forza perchè lui non ci sarebbe mai stato. Andai a prendere l’appuntamento per l’aborto. Ero convinta, mi uccideva l’idea di non poter dare una vita dignitosa a mia figlia (io prendo 800€ sono educatrice professionale, sono pagata uno schifo). Fu un’umiliazione unica. Gli specializzandi che dovevano farmi l’ecografia facevano gara a chi avrebbe dovuto uccidere la creatura che avevo in grembo, mentre le lacrime mi uscivano senza controllo. Come ha potuto farmi questo, lui. Come poteva essere così indifferente! Quel giorno ricevetti un suo messaggio in un gruppo Whatsapp in cui si preoccupava di fare gli auguri a una nostra amica. Io ero ancora più devastata. Mia mamma mi accompagnò in ospedale. Anche lei era incredula rispetto alla situazione. Ahimè, fissarono la data per l’aborto dopo 3 settimane.

Quelle settimane furono fondamentali. Così mi rivolsi ad un avvocato per capire quali fossero i miei diritti. Nel frattempo i miei genitori mi sostennero sempre! Io quella bambina la amavo alla follia. Feci un’altra ecografia in cui riuscii a sentire anche il suo battito cardiaco. Cara Anna, quel suono non mi diede via d’uscita. capii che andavo contro me stessa e contro quel cuoricino che nonostante tutto era già così guerriero da aver superato tutti quello stress. Avrei abortito per lui. Ma lui chi era in fin dei conti? Solo una persona che mi aveva usata e non mi aveva mai amata. Perché se ami, rispetti. Se rispetti non maltratti. Lui mi aveva violentata psicologicamente per 9 mesi difficilissimi.

Così mi sono affidata all’aiuto di una psicologa con la quale ho messo in ordine tante cose e ho avuto il coraggio di farlo: l’ho denunciato per maltrattamenti privati e morali. Denuncia di cui non si sa ancora nulla, ma spero che vada avanti. Il 25/9/2020 è nata la mia piccola M.E. Fu una grandissima gioia per il mio cuore, anche se ho ancora tanta paura per il suo futuro. Ma sai, mia figlia crescerà nell’amore di una famiglia unita. È vero che non avrà il suo papà, ma ciò non vuol dire che non avrà il valore della famiglia. Quell’essere indegno che per legge dobbiamo chiamare “papà” l’ha vista una sola volta e voleva pure prenderla in braccio. L’ha vista dal vetro della macchina. E poi è sparito.Di nuovo.

Io sono ancora incredula. Adesso lui ha un’altra. La sua famiglia mi ha chiamata una sola volta al quinto mese di gravidanza, chiedendomi di implorarlo a tornare con me per il bene della bambina. Ma è proprio per il suo bene che lui non deve esserci. Dopodiché è sparita anche la famiglia.

Perdonami forse mi sono dilungata troppo. Volevo raccontarti la mia storia Grazie Anna per esporti così tanto a tutela della vita. Forse però bisognerebbe dare più incentivi alle donne per portare avanti una gravidanza. Lo Stato non aiuta. E tre mesi per tornare a lavoro sono veramente pochi”.

Ricevere questa emozionante lettera è stato un onore per me. La forza di questa donna è una grande lezione di umanità per tutti noi. Spesso si parla dell’aborto come un “diritto” della donna, quando in situazioni come questa si manifesta una totale deresponsabilizzazione dell’uomo. Gli uomini irresponsabili amano l’aborto, poiché è il mezzo tramite il quale si sentono liberi dalle proprie azioni. Gli uomini veri invece proteggono le donne e le aiutano a tutelare la vita. Attraverso le parole di questa guerriera traspare quanto l’aborto sia anche una questione strettamente maschilista. Non a caso, la mia cara amica americana Rebecca Kiessling, concepita in uno stupro e oggi attivista pro-life durante una mia video-intervista affermava che gli stupratori e gli uomini violenti amano l’aborto poiché distrugge le prove dell’abuso subito e li libera da ogni responsabilità.

La violenza è il vero volto dell’aborto. L’amore è l’essenza della vita e sono proprio storie ricche di speranza come queste ad affermare la bellezza e il valore inestimabile e incorruttibile della vita umana. Ogni bambino abortito è una sconfitta per tutta la società e ogni bambino salvato da questo genocidio silenzioso è un trionfo per l’intera umanità. Mi auguro con tutto il cuore che anche lo Stato prenda piena consapevolezza di questo e si dia da fare per tutelare la maternità incentivando aiuti economici per le famiglie e la natalità. Una nazione che non investe le proprie risorse sulla maternità è già il segnale di una nazione distrutta. Un paese che non tutela il diritto alla vita dei propri figli è un paese senza futuro. Spero vivamente che i nostri politici invece che preoccuparsi delle cose futili come i banchi a rotelle o i padiglioni con le primule, ascoltando storie intense come questa possano davvero impegnarsi a ricostruire la società partendo dalla base più importante e solida di qualsiasi civiltà l’umanità abbia mai conosciuto: la famiglia.