Landini: “Pci baluardo democratico, collegò lavoratori a istituzioni”

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Un “baluardo democratico” ed un “prezioso canale di collegamento” tra le lotte dei lavoratori e le istituzioni che evitò che le proteste, in momenti di crisi, conoscessero sbocchi drammatici. Così in una intervista all’Adnkronos per i 100 anni del Pci, il leader Cgil, Maurizio Landini, spiega il legame che unì il partito al sindacato di Corso Italia nato nel 1906, che già con le Camere del Lavoro a partire dal 1896 operava per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro della classe operaia. “Il Pci rappresentò un’esperienza unica perché riuscì ad organizzare due milioni di iscritti in uno dei periodi più difficili della storia del mondo. Riuscì cioè ad aderire e a rappresentare la cultura, i comportamenti, la storia del Paese. Inoltre, rappresentò un baluardo democratico durante gli anni ‘50 del secolo scorso quando la repressione si rivolse contro le proteste dei lavoratori. Fu poi un prezioso canale di collegamento tra le lotte dei lavoratori e delle lavoratrici e le istituzioni rendendo possibile così, pur dall’opposizione, le grandi riforme degli anni ‘70: le pensioni, lo Statuto dei Lavoratori, la riforma sanitaria, i diritti delle donne. Senza questo ruolo fondamentale le proteste avrebbero potuto avere anche sbocchi drammatici. In questo senso il Pci ha contribuito a salvaguardare la democrazia italiana”, dice ancora .

“Alla fine degli anni ‘60 del secolo scorso, sia pure entro una discussione spesso lacerante sui caratteri dello sviluppo capitalistico in Italia, il Pci individuò nelle lotte operaie il nucleo essenziale della battaglia democratica e sociale. Lotte operaie che non guardavano solo al salario ma all’organizzazione del lavoro, agli orari, alla salute in fabbrica . Le grandi riforme degli anni ‘70 non sarebbero state possibili senza quelle lotte e senza il ruolo fondamentale del sindacato e del Pci nella loro rispettiva autonomia. Non possiamo dimenticare che anche in momenti drammatici come quello del primo pesante tentativo di ridurre il ruolo del lavoro in fabbrica, il segretario del Pci, Enrico Berlinguer, nel 1980, andò ai cancelli della FIAT a sostegno della lotta delle lavoratrici e dei lavoratori.

D: La Cgil è riuscita a preservare il valore dell’autonomia dalla politica, a sottrarsi a quel ruolo, che spesso le è stato attribuito di ‘cinghia di trasmissione’ con il partito. Ma cosa ha significato e cosa significa oggi per la Cgil l’autonomia dalla politica?

“Per rispondere a questa domanda è bene ricordare, quanto affermava Bruno Trentin. Egli ribadì più volte l’insegnamento fondamentale di Di Vittorio nell’indicare il valore e l’importanza dell’autonomia, dell’indipendenza, del sindacato non solo nei confronti dei partiti ma soprattutto delle controparti. Questo è per noi un valore di riferimento fondamentale. La nostra autonomia significa oggi affermare un ruolo del sindacato non corporativo o aziendalista ma un soggetto portatore di un progetto di cambiamento della società. Un soggetto che, proprio sulla base di un progetto di trasformazione costruito democraticamente con le persone che si vogliono rappresentare, è in grado di misurarsi con tutti”.

D: Berlusconi prima e Renzi poi hanno tentato di delegittimare il sindacato. Neppure il Conte 1 si è sottratto all’attacco: qual e’ lo stato di salute attuale del sindacato; a che punto è il rapporto con l’attuale governo?

“Se rileggiamo con attenzione tutto il dibattito istituzionale di questi ultimi decenni, vediamo che il tema è sempre il medesimo: rafforzare i poteri dell’esecutivo, ridimensionare il ruolo della rappresentanza e dei corpi intermedi, a partire dal sindacato e abbassare l’asticella dei diritti nel mondo del lavoro. Tutto ciò avrebbe dovuto garantire maggiore efficienza e crescita economica più sostenuta. Oggi, a maggior ragione nel pieno di una drammatica pandemia, stiamo toccando con mano il fallimento di queste scelte. La crescita economica non c’è stata, lavoro precario e bassi redditi hanno prodotto diseguaglianze che la pandemia ha esasperato, i sistemi di protezione sociale, a partire dalla sanità, hanno visto una drastica riduzione delle risorse proprio in nome di una presunta maggiore efficienza. Gli effetti di tutto ciò oggi, nel pieno della pandemia, li stiamo drammaticamente scontando”, prosegue Landini.

E aggiunge: “oggi non siamo in grado di prevedere come evolverà una crisi di governo incomprensibile, sbagliata e di cui non si avvertiva il bisogno. Ciò che possiamo dire è che con l’attuale Governo, almeno fino alla prima fase della diffusione della pandemia, vi è stato un confronto che ha contribuito a riconoscere e definire risultati importanti per il mondo del lavoro: riduzione della pressione fiscale per una parte consistente del mondo lavoro dipendente, protocolli per la sicurezza come condizione per la ripresa della attività nel pieno della pandemia, blocco dei licenziamenti e misure di sostegno al reddito per i lavoratori e lavoratrici, sostegni alle imprese in difficoltà”.

“Questo confronto che si è interrotto negli ultimi mesi contestualmente alla presentazione dei progetti sul Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, va ripreso -ammonisce- E’ in discussione il futuro del Paese, della democrazia e della società. Le parti sociali devono essere protagoniste di questo confronto. Per tutti è il momento della responsabilità.

“Anche le associazioni datoriali devono raccogliere la sfida del cambiamento, a partire da Confindustria. Oggi molti contratti nazionali sono stati rinnovati e altre trattative sono in corso. Deve prevalere in tutti la consapevolezza dell’esigenza di un nuovo modello di sviluppo da costruire grazie all’impulso di investimenti pubblici e privati che abbiano nella qualità del lavoro e nello sviluppo sostenibile i parametri fondamentali. Confindustria deve fare i conti con la realtà, come tutti. Siamo in una situazione inedita, in cui le vecchie ricette e gli atteggiamenti pregiudiziali sono sbagliati. Serve aria nuova”, spiega ancora.

“I rinnovi dei contratti nazionali devono essere in grado di affrontare tanto lo smart working quanto il diritto alla formazione, senza dimenticare il diritto all’occupazione e al giusto salario perché è assurdo essere poveri lavorando. L’esigenza di una svolta rispetto alle ricette del recente passato è un dovere per tutti se non si vuole precipitare in un declino drammatico”, ammonisce.

D: Partiti deboli sindacati forti e viceversa: si può dire che oggi il sindacato oggi ha più potere di rappresentanza della politica? E’ ancora sul tavolo l’opzione di un sindacato unico ?

“I partiti hanno perso oggi la loro capacità di rappresentanza mentre il sindacato è i il soggetto che cerca di esprimere e rappresentare le esigenze del mondo del lavoro, delle donne, dei giovani, dei pensionati. Questo non vuol dire nascondere i grandi problemi che oggi attraversano il sindacato stesso. Siamo di fronte ad un mondo del lavoro frammentato e dove si sono diffuse forme di lavoro instabili e precarie. A questo ha contribuito una legislazione che ha ridotto diritti e tutele. Oggi il sindacato ha di fronte il tema della riunificazione del mondo del lavoro rispetto alla quale è decisivo il riconoscimento del valore generale dei contratti collettivi nazionali, il riconoscimento anche per via legislativa della misurazione della rappresentanza, non solo sindacale ma anche della parte datoriale, anche per contrastare i contratti pirata, la riforma degli ammortizzatori sociali secondo principi universalistici, la partecipazione dei lavoratori alle scelte dell’impresa.

Battersi per la riunificazione del mondo del lavoro vuole dire quindi, aggiunge, “battersi anche per cambiare il sindacato e rilanciare una nuova idea di unità sindacale fatta sulla democrazia e la partecipazione delle lavoratrici e dei lavoratori. Vuole dire riscoprire e aggiornare il ruolo delle Camere del Lavoro come luoghi aperti a tutte le forme di lavoro, alle esigenze e bisogni dei giovani, delle donne, dei pensionati, delle associazioni ambientalistiche, di quelle cattoliche così sensibili ai temi della solidarietà e dell’inclusione sociale. Vuole dire dare centralità al “sindacato di strada”, ad un sindacato che, a partire da esigenze concrete, è in grado di battersi per un progetto di cambiamento della società. La divisione del sindacato è stata il frutto delle rotture prodotte dalla guerra fredda e dei suoi effetti sui partiti politici che erano protagonisti di quella fase. Oggi il quadro è profondamente mutato e ci possono essere le condizioni per prospettare un sindacato unitario e plurale”. (Alessandra Testorio)