Lingua e menzogne

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È una strada a senso unico e terribilmente in discesa, quella imboccata, da tempo, dal simil-giornalista Massimo Giannini. Ed è difficile, allo stato, pronosticare una qualche forma di recupero di dignità, tristemente evaporata con i suoi articoli ed interventi.
Opportuno ripercorrere le varie fasi che hanno caratterizzato gli interventi di questo megafono di Elkann, per capire quanta credibilità gli si possa tuttavia attribuire. Alla fase degli attacchi al Conte Premier, motivati da un minestrone di pretestuose motivazioni e disgustose menzogne, unite fra di loro dal detto “tutto fa brodo”, ha fatto seguito la indecorosa fase dello slinguazzamento, altrettanto immotivato e preventivo, a Draghi. Adesso il nostro ha inaugurato la fase numero tre: l’unione fra lo slinguazzamento gratuito e preventivo a Draghi (nella qual arte è talento allo stato puro), e la critica, denigrazione ed attacco dell’operato del predecessore, il tutto condito da considerazioni mosse da inesattezze e vere e proprie menzogne.
Non teme sputtanarsi il megafono. Non gli è bastata la diffusione di notizie false (la notizia del presunto accordo sottobanco fra Conte ed i vertici dei Servizi, bufala per la quale non ha nemmeno ritenuto opportuno chiedere scusa), non sono bastati i ritornelli divenuti rapidamente stantii, delle “segrete stanze” e del “favore delle tenebre”, ripetuti oltre la sopportazione in articoli ed interventi televisivi, è andato oltre. Ha raso al suolo quel poco di deontologia ed etica che gli si potevano, nonostante tutto, ancora attribuire, con un articolo vergognoso, nel quale oltre ad una perfida scaltrezza comunicativa, è riuscito a superare sé stesso unendo falsità sull’operato del vecchio Premier a esagerate apologie del nuovo. Che tristezza, un comportamento che merita commiserazione.
Stavolta però, non gli ha detto bene. Conte ha reagito, ha scritto, gli ha risposto. Lo ha fatto direttamente, senza mandargliela a dire. Ha smascherato l’infamia, usando una forma elegante. Contestando forma e sostanza dell’articolo, dimostrandone, con risposte punto per punto, la meschinità, pretestuosità e falsità di alcuni passaggi. Ma, soprattutto, smontando scientificamente le menzogne. Ha usato un tono fermo, sicuro, chiamando “falsità” le notizie diffuse da Giannini e, nella smentita di quelle “falsità”, il tono è diventato perfino quasi dileggiatore.
Giannini può, deve avere un parere. Dovrebbe però usare, per diffonderlo, forme alternative a quelle che gli sono consentite dall’essere direttore di un giornale, mescolandolo a fatti abilmente modificati, alterati o “interpretati”. E deve smetterla di diffondere menzogne. Il padrone di Montanelli fu il lettore. Il padrone di Giannini è l’editore e non cerca neppure di nasconderlo. E, a tal proposito, vale la pena riproporre una citazione usata da Conte nella risposta al Direttore della Stampa:
“Ora, non dico che debba fidarsi di me. Ma dia retta almeno a un raffinato stratega quale Talleyrand, che ai suoi collaboratori raccomandava sempre: «Surtout pas trop de zèle» («Soprattutto non troppo zelo»). Quando si eccede in fervore si rischia di servire male la causa”.
Chapeau a Conte, un velo pietoso sul giornalismo rappresentato da Giannini.
Giancarlo Selmi