MERITOCRAZIA: UN MITO PERICOLOSO, A BEN VEDERE

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Perché solo le audizioni “cieche” hanno fatto crescere del 45% il numero di orchestrali donne nella New York Philharmonic Orchestra?

Perché gli articoli scritti dalle ricercatrici sono giudicati meglio quando né l’autore né il revisore sono reciprocamente identificabili? Perché i dirigenti selezionano e premiano maggiormente i maschi?
La risposta a tutte queste domande è una sola: perché persiste un pregiudizio di genere che penalizza le donne.

Di conseguenza “la meritocrazia non è che un mito pericoloso. Un mito che fa da copertura al pregiudizio istituzionale a favore del maschio bianco”, sostiene Caroline Criado Perez nel libro “Invisible Women”.
In ambito accademico le donne sono sistematicamente citate meno degli uomini. E la valorizzazione di ciò che viene pubblicato è necessaria per fare carriera. Inoltre alle docenti vengono affidate più ore di cattedra e più incombenze amministrative, che limitano la possibilità di fare ricerca e pubblicare.

Dalle valutazioni degli studenti universitari è emerso che i docenti maschi, anche se meno competenti, ricevono solitamente giudizi più positivi delle loro colleghe, anche se le stesse sono più preparate. Accade infatti che le docenti universitarie ricevono giudizi negativi quando non sono abbastanza cordiali e disponibili, ma quando invece lo sono rischiano di essere disapprovate perché non abbastanza autoritarie o professionali.

Da una ricerca condotta nel 2016 tra gli studenti dei corsi universitari di biologia è emerso che “gli studenti erano invariabilmente propensi a considerare i compagni maschi più intelligenti delle studentesse, benché queste ultime avessero un rendimento migliore”.

Da diverse ricerche è emerso che più del 40% delle lavoratrici rinuncia a un impiego nel comparto tecnologico dopo dieci anni di lavoro. “Secondo il «Los Angeles Times», le donne se ne vanno perché stufe di veder respingere i propri progetti e di essere ripetutamente ignorate quando è il momento di assegnare una promozione. Questa dunque sarebbe meritocrazia? Somiglia di più a un pregiudizio istituzionalizzato”, scrive Caroline Criado Perez.
A cura di Ilaria Moroni