Movimento 5 stelle: il problema sono gli elettori delusi

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Colpisce a volte la superficialità e la sufficienza

Dissimulate dietro l’ostilità o il cerchiobottismo, di certi colleghi che scrivono dei 5Stelle sui “giornaloni” o sui giornaletti della stampa padronale.
Il manifesto di Conte, il suo eventuale ritorno a Palazzo Chigi, la rifondazione del Movimento, il Neo-Movimento che – come il neo-classico o il neo-barocco – fa pensare a un déjà vu, a uno stile passato di moda. A colpire è in particolare la malcelata indifferenza per gli oltre dieci milioni di elettori che nelle ultime elezioni del 2018 hanno votato per loro, consegnando ai seguaci di Beppe Grillo il 32 per cento dei voti e il titolo di maggior partito in questo Parlamento.

Ora è vero che i sondaggi attribuiscono oggi al M5S circa la metà di quei consensi. E chissà se ed eventualmente quanto potrà risultare controproducente l’improvvida arringa dell’ex comico in difesa del figlio accusato di stupro. Per il resto, conosciamo tutti i limiti e i difetti mostrati dai “grillini” nella prima parte della legislatura, in particolare nell’esperienza di governo con la Lega: infantilismo, impreparazione, estremismo verbale, populismo e soprattutto mancanza di una cultura politica.

Ma al momento chi può esibirne una degna di questo nome? Forse il Partito democratico, ancora in bilico fra l’anima di sinistra e quella cattolica democratica, “un amalgama mal riuscito” secondo la sentenza di Massimo D’Alema?

E nel centrodestra, a parte la “coerenza” professata quotidianamente dall’ex fascista o post-fascista Giorgia Meloni, quella stessa Meloni che a suo tempo votò per Ruby “nipote di Mubarak”, qual è la cultura politica della Lega nazional-sovranista o dei superstiti di Forza Italia, il partito-azienda di Silvio Berlusconi?

A differenza delle forze che provengono dalla cosiddetta Prima Repubblica, il M5S è – per l’appunto – un movimento: cioè un soggetto in transizione, in via di evoluzione e trasformazione. Prodotto originariamente da un’istanza di rinnovamento, di giustizia sociale, di trasparenza e onestà. Non abbiamo alcuna difficoltà a riconoscere che finora molte di queste istanze sono andate deluse. Ma tutto ciò non può impedire di ammettere che nella seconda parte della legislatura, dal governo Conte bis al governo Draghi, i 5Stelle siano cresciuti e maturati sul piano istituzionale dando prova di responsabilità e senso dello Stato. Anche a rischio, magari, di omologarsi in qualche caso ai partiti tradizionali.

La questione, allora, non riguarda tanto i “big” in carriera che rappresentano il M5S dentro o fuori il Parlamento o fuori: Di Maio o Di Battista, Fico o Crimi, Raggi o Appendino. Bensì quei dieci milioni e passa di cittadini italiani che appena tre anni fa hanno affidato a loro le proprie aspettative, speranze, illusioni.

Questo è il problema politico che l’ex premier giallorosso, se ne avrà la forza e la capacità, deve cercare di risolvere. Questa è la “domanda” di fondo a cui bisogna dare una risposta concreta e praticabile.

E ammesso pure che quegli elettori si siano ridotti o dimezzati, e che da qui alle prossime elezioni il Neo-Movimento rifondato da Conte non riesca a recuperarne almeno una parte, resta il fatto comunque che qualcuno dovrà pure farsene carico. Magari per evitare che finiscano a ingrossare le file dell’astensionismo. O peggio ancora, quelle della destra “di protesta e di governo”, incline a soffiare sul fuoco dell’epidemia, del malcontento e della jacquerie all’italiana.