Niger, l’impegno di CBM Italia Onlus

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In Niger, l’impegno di CBM Italia Onlus Il contesto nigerino Con oltre 21 milioni di persone, il Niger è tra i primi quattro paesi al mondo più vulnerabili ai cambiamenti climatici. Inondazioni, epidemie e i conflitti tra agricoltori e allevatori sulla disponibilità delle terre sono le nuove emergenze. D’altronde l’80% della popolazione vive nelle aree rurali, il 45% sotto la soglia di povertà e solo il 15% ha accesso alla corrente elettrica. Numeri: quelli che rendono la realtà nigerina severa. E se da un lato ci sono la povertà e l’insicurezza alimentare, dall’altro le tensioni legate alla presenza di gruppi terroristici in ben quattro regioni su otto, i confini labili con la Nigeria, il Mali e il Burkina Faso, l’ombra di Boko Haram, il coprifuoco e la presenza delle basi militari straniere rendono il clima ancora più caldo. A tutto questo si aggiunge l’essere diventato il Paese rotta dei migranti. È qui che negli ultimi anni migliaia di persone provenienti dall’Africa Subsahariana sono transitate per arrivare in Libia e da lì alla ricerca di un futuro migliore. Agadez, nel nord del Paese, è balzata alle cronache come il punto nevralgico del fenomeno migratorio come ci spiega Adamou Boureima, Country Director di CBM Niger: “Per noi nigerini migrare non è una tradizione. Lo facciamo, ma solo in determinati periodi dell’anno. Tuttavia non consideriamo i migranti un problema: il loro è un viaggio e il Niger è solo di passaggio. Per le persone che vivono ad Agadez la tratta è volano economico: si affittano le camere, si vende cibo, si consumano beni”. Il Niger guarda al futuro con ottimismo, come dice Boureima: “Abbiamo molte potenzialità per diventare un Paese all’avanguardia. Il 60% della popolazione nigerina è giovane. I giovani con le loro energie e capacità rappresentano una risorsa: sono loro il punto di rottura con il passato. Educazione, formazione, accesso ai servizi, opportunità di lavoro dovrebbero diventare le parole d’ordine se vogliamo che restino qui e non cerchino altrove un futuro”. Ed è in Niger che CBM Italia Onlus opera dal 2017, prima con un progetto di agricoltura sostenibile e inclusiva, poi con uno di educazione inclusiva. Obiettivo: spezzare il ciclo invisibile che nei Paesi in via di sviluppo lega la povertà alla disabilità. Il progetto di agricoltura sostenibile e inclusiva a Zinder Cambiamenti climatici e sicurezza alimentare. A primo impatto sembrerebbero argomenti distanti tra di loro, eppure non lo sono. Il fenomeno è preoccupante ovunque, ma diventa ancora più serio per coloro che vivono in condizioni di vulnerabilità e povertà. È a loro che CBM Italia ha rivolto l’attenzione. Lo ha fatto a partire dal 2017 quando, con il sostegno dell’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo, nella Regione di Zinder, la seconda in Niger maggiormente colpita da insicurezza alimentare e malnutrizione, ha avviato il progetto “Coltivare la resilienza: agricoltura sostenibile e inclusiva”. L’obiettivo era quello di rendere indipendenti le persone con disabilità, in particolar modo le donne, che per stigma sociale e scarso accesso ai mezzi di produzione, sono ancora più a rischio di malnutrizione. Si voleva che avessero cibo a sufficienza per le loro famiglie, che potessero mangiare di più e meglio, ma soprattutto che imparassero un lavoro nell’agricoltura o nell’allevamento che permettesse loro di essere autonome. Formazione, inclusione e migliore qualità della vita hanno guidato in questi anni l’organizzazione. A oggi sono 130 gli orti realizzati. Oltre 700 le persone che beneficiano dei prodotti di cui 130 beneficiari diretti, uno per ogni orto, e le loro famiglie. Per ogni orto è stato costruito un pozzo per irrigare, 12 quelli comunitari. Il kit donato prevedeva sementi di pomodori, peperoncino verde, cipolle, zucchine, cavoli, lattuga, angurie, peperoni e moringa. Oltre agli orti, le 130 famiglie beneficiarie hanno ricevuto in dotazione anche dei kit caprini al fine di promuovere l’allevamento dei piccoli ruminanti. Grazie al progetto sono stati costruiti 5 centri di trasformazione dei prodotti agricoli all’interno dei quali lavorano 250 donne. 7 i centri realizzati per la vendita di prodotti e sementi. Per saperne di più, scopri la nostra pubblicazione! Il progetto di educazione inclusiva a Diffa L’impegno di CBM in Niger non si ferma a Zinder, ma arriva a Diffa. Qui l’obiettivo è favorire l’accesso e l’inclusione di bambini e adolescenti nelle strutture educative della Regione e contrastare l’abbandono scolastico. Per questo nel comune di Chétimari l’organizzazione sta promuovendo attività di sensibilizzazione sull’inclusione e lavorando alla riduzione delle barriere architettoniche in 24 classi affinché siano accessibili agli studenti con disabilità. Il progetto, sostenuto dall’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo, prevede anche la costruzione di 13 nuove classi, di servizi igienici e interventi strutturali per garantire l’accesso all’acqua. Le classi costruite saranno equipaggiate con arredamento e materiali essenziali allo svolgimento delle attività educative. Le storie dei beneficiari Zaliya ci aspetta nel suo orto, nel distretto di Dongou. È seduta vicino a un pozzo dismesso. Sotto il velo azzurro, sulle sue spalle, il piccolo Nana dorme tranquillo. Poco lontano c’è suo padre che, con un arnese, rimuove le erbacce intorno agli ortaggi. Alza il capo quando ci vede arrivare, ci saluta e quando iniziamo a parlare con sua figlia torna al suo lavoro. Zaliya ha ventitré anni, è sposata e oltre a Nana ha una bambina di cinque anni, Naima. Nove anni fa a causa di un’infezione, causata da un’iniezione medica, ha perso la gamba destra. La corsa in ospedale nel suo distretto, poi in quello di Zinder, non è valsa a nulla: l’infezione divenuta cancrena ha portato all’amputazione dell’arto. “Da quel momento non ho potuto più prendere l’acqua e la legna per casa” ci dice con la sua voce lieve. Né può farlo suo marito, anche lui affetto da disabilità motoria. L’aiuto gli arriva dai genitori o dai vicini di casa. Zaliya è una delle beneficiarie del nostro progetto. “Le mie giornate sono simili tra di loro: dopo la preghiera mattutina, mi prendo cura dei bambini e della casa, cucino per il pranzo, per la cena e accudisco gli animali”. Gli animali di cui ci parla sono le capre, quelle che insieme alle sementi compongono il kit di cui ognuno di loro beneficia. Dell’orto però si occupa suo padre. Ha cinquantacinque anni, anche se le rughe sul volto gliene fanno dimostrare di più. Le sue mani si muovono rapidamente tra gli ortaggi, quella piccola zappetta è indispensabile se vuole assicurare cibo alla sua famiglia. Zaliya e Abdou ci appaiono felici e, da come ci dice lei, lo sono: “Grazie al progetto la nostra vita è cambiata: prima non avevamo nulla, né cibo né soldi. Ora abbiamo un orto e cibo in abbondanza: riso, mais e verdure sono sempre sulle nostre tavole. Mangiamo meglio e di più. Non solo: riusciamo anche a vendere le eccedenze. Quando Naima prima di andare a scuola mi chiede di comprarle un dolce o un panino non devo più doverle dire di no”. Nana si è svegliato. Il suo sguardo assonnato incontra quello dolce di sua madre. Zaliya ci saluta con un suo ultimo pensiero sul futuro: “Non potrà che essere migliore. Ora so che posso provvedere a me e alla mia famiglia senza dover chiedere nulla a nessuno”. Salissou gestisce uno dei 7 centri per la vendita dei prodotti. Ci aspetta sull’uscio del negozio. Lui ha quaranta anni, è sposato e ha tre figli: una femmina e due maschi. “A causa di un’infezione ho perso la gamba, ma non mi sono mai arreso. Coltivo l’orto, accudisco le capre, sono responsabile del negozio e quando sono qui e non ci sono clienti riparo le motoseghe”. Salissou ci lascia entrare nel negozio. A prima vista tutto ci appare ordinato e ben tenuto. È lui stesso a spiegarci cosa vende: in basso i fertilizzanti, nel mezzo le buste con le sementi e in alto i pesticidi. I prezzi variano in base ai prodotti, ma l’obiettivo è quello di accogliere ogni richiesta. “Se la persona non ha soldi a sufficienza per acquistare un’intera bustina gliene preparo una ad hoc. Ci sono poi casi di acquisti collettivi. L’importante è vendere le sementi sia ai beneficiari del progetto sia agli altri membri della comunità. Incentivare la coltivazione è uno dei nostri obiettivi”. Hassia ha quaranta anni, è sposata con sette figli: cinque femmine e due maschi. Quando la incontriamo ha con sé la piccola Ruma di appena tre anni. Ci sediamo nel cortile di casa, al riparo dal sole. “Avevo un anno quando mia madre mi portò a casa di una donna del villaggio per ornare i miei piedi con i tatuaggi arabi. La donna disse che i miei piedi erano bellissimi. Tornata a casa ebbi un’infezione. Da quel giorno non camminai più bene”. Oggi i suoi spostamenti sono brevi, all’acqua e alla legna ci pensano i suoi figli. Il lavoro però non le manca: “La mattina cucino la crema di ceci e preparo tanti piccoli sacchetti che i miei bambini vendono casa per casa. Poi mi occupo del pranzo, della cena, accudisco gli animali e almeno una volta a settimana vado al mulino a fare rifornimento di cereali”. In casa Hassia ha ben cinque capre: “Ho imparato a mungere gli animali e il latte lo utilizzo per cucinare: Ruma è piccola e ne ha bisogno”. Dell’orto si occupa invece suo marito. Anche lui ha una leggera disabilità sul volto che gli ha provocato la perdita della vista da un occhio. “Lattuga, pomodori, crauti, cipolle, moringa, zucca: ogni giorno abbiamo prodotti freschi e diversi sulla nostra tavola. Noi adulti mangiamo tre volte al giorno, i bambini quattro. E poi ci sono gli animali: mangiamo la loro carne e quando necessario li vendiamo per comprarne di diversi. Prima del progetto non avevamo soldi, non potevamo comprare nulla. Nessuno ci ha mai aiutati: qui non avere soldi significa essere dimenticati” ci dice Hassia con dispiacere. Quando paragona la sua vita di ieri a quella di oggi, Hassia fa un esempio chiaro: “Prima era solo insalata verde. Ora posso mettere pomodori, cipolle, peperoni, crauti. Non devo acquistarli, basta andare nell’orto e raccoglierli. Non c’è paragone tra la vita che facevamo prima e quella di ora. Il progetto è stato la nostra rinascita”. A beneficiare del progetto non sono solo le singole famiglie, ma la comunità intera. La parola che sottende a tutto è collaborazione: quella presente nelle famiglie, ma anche nei luoghi di lavoro come emerge nell’altro centro di trasformazione che visitiamo nel distretto di Dongou. A presentarci l’attività è Saade: “In questo centro lavorano ottanta donne, molte di loro hanno una disabilità. Le donne sono divise in dieci gruppi. Il centro è operativo tutti i giorni, con orari e turni diversi”. A colpire del suo discorso è il senso di unione che si è venuto a creare: “Il progetto ci ha reso indipendenti e più unite. Lavorare insieme significa trascorrere molte ore fianco a fianco, confidarsi, supportarsi. Se una di noi è assente subito ci si preoccupa e si cerca di avere informazioni. Non solo: grazie al progetto le donne con disabilità sono state incluse nella comunità e formate a un lavoro”. La campagna I progetti in Niger rientrano nella nuova campagna “BREAK THE CYCLE”, nata con l’obiettivo di contribuire a spezzare il ciclo che lega povertà e disabilità nei Paesi in via di sviluppo. 26 i progetti sostenuti in 12 Paesi di Africa, Asia e America Latina. Progetti di salute, educazione e inclusione sociale, capaci di mettere al centro le persone con disabilità e i loro diritti grazie all’approccio CBID (Community Based Inclusive Development): uno sviluppo inclusivo su base comunitaria che permette di lavorare insieme alle comunità.  Nel mondo sono più di 1 miliardo le persone con disabilità. Di queste l’80% vive nei Paesi in via di sviluppo. È proprio in questi Paesi che la povertà e la disabilità sono spesso collegate, creando un circolo a cui è difficile sfuggire. Chi è povero ha più probabilità di avere una disabilità perché non ha accesso a una alimentazione sana, ad acqua pulita, a cure mediche, educazione e lavoro. La disabilità, dal canto suo, può contribuire e aumentare la povertà a livello individuale, familiare e comunitario a causa di discriminazioni e barriere. Chi ha una disabilità ha meno probabilità di accedere a istruzione, formazione e lavoro: opportunità che potrebbero porre fine alla povertà. CBM Italia Onlus è un’organizzazione umanitaria impegnata nella prevenzione e cura della cecità e della disabilità evitabile e nell’inclusione delle persone con disabilità in Africa, Asia, America Latina e in Italia. CBM Italia fa parte di CBM (Christian Blind Mission), organizzazione internazionale attiva dal 1908 per includere e contribuire a una migliore qualità della vita delle persone con disabilità che vivono nei Paesi in via di sviluppo. Nel 2019 CBM Italia ha realizzato 48 progetti in 17 Paesi, raggiungendo circa 1,9 milioni di beneficiari.