Occhetto: “Liberazione, la Costituzione più bella d’Europa, fu errore rottura con Psi nel ’56”

0
55

Il contributo alla liberazione dal nazifascismo e la Costituzione “più bella d’Europa”, la rottura “(colpevole”) con il Psi dopo i fatti d’Ungheria, nel ’56, che impedì di avere “un partito unico della sinistra”. Achille Occhetto, in una lunga intervista con l’AdnKronos, ricorda la rinascita del Paese, ricorda i partigiani comunisti che entrano nella sua Torino, guidati da Napoleone Colajanni, nell’aprile del ’45, ma anche lo scontro con Nenni, che dieci anni più tardi, nel ’56, aprì il conflitto nel campo progressista, mai risolto tra le anime della sinistra italiana. Luci e ombre del partito comunista, di cui Occhetto è stato l’ultimo segretario e di cui ricorrono i cento anni dalla fondazione.

“Il partito nato al teatro San Marco di Livorno nel ’21 nasceva con la parola d’ordine ‘fare come la Russia’, dopo il ’45 noi siamo rinati con l’idea di non fare come la Russia, ma di scegliere la via italiana al socialismo”, spiega Occhetto, partendo dalle origini, da quel gruppo, comandato da Bordiga, Gramsci e Terracini, che abbandona il Psi di Turati e Matteotti nel 1921. E’ questa la premessa da cui bisogna partire: “Per questo oggi noi non celebriamo lo stesso partito nato a Livorno, il quel gennaio del ’21, cento anni fa, perché ci sono almeno due partiti comunisti profondamente diversi tra loro”.

Occhetto guarda alla Resistenza, dove nasce il seme della ricerca della via italiana al socialismo, passando per Togliatti, Longo e poi Berlinguer, il segretario dello strappo finale con Mosca. Per Akel, infatti, già nel partito nuovo di Togliatti “dove mi sono iscritto, rimaneva ben poco dei capisaldi del leninismo”. “”Soprattutto rispetto alla concezione dello Stato e del partito””, nel Pci del Migliore c’era già “un differente rapporto con la democrazia rappresentativa, con una linea diversa da quella leninista, la Costituzione era non solo la legge da rispettare, ma anche l’orizzonte di riferimento per la lotta per il socialismo”.

Da Togliatti altre due lezioni: “Dovevamo essere in grado di individuare l’orizzonte internazionale in cui collocare l’azione politica, e essere capaci di ‘entrare in tutte le pieghe della società’, che oggi, certo, sono pieghe diverse, visto che non abbiamo la stesse fabbriche, gli stessi quartieri, lo stesso modo di entrare, degli uomini e delle donne nel processo produttivo, pensiamo solo al lavoro a distanza di oggi”.

Occhetto racconta il suo incontro con il Migliore, per portargli un suo articolo, pubblicato sul giornale della Federazione giovanile, in cui attaccava il congresso del Pcus, che faceva un passo indietro dopo la destalinizzazione di Kruscev. “Ero intimorito, entravo nella stanza di un mito, dove pochi potevano accedere, lui mi disse che avrebbe letto il mio articolo, poi, dopo due giorni mi richiamò, mi disse che era interessante, poi mi invito a diffonderlo, “Non solo tra i giovani, ma anche dentro il partito”, era un segnale che mi invitava a lottare per il rinnovamento.

“Quel Pci ci ha insegnato che si può governare anche dall’opposizione, perché è meglio perdere con le proprie idee che vincere con quelle degli altri”, dice Occhetto, che da poco ha dato alle stampe il suo ultimo volume, dal titolo ‘Una forma di futuro’ (Marsilio Editore).

Da quell’inizio, di cui ricorrono i cento anni, da quel primo partito comunista, quello di Gramsci, e dalla storia successiva “dovremmo ripensare in modo nuovo il socialismo, non più ingenuamente, pensando che sia l’uscita da una scatola, quella del capitalismo, per entrare in quella del ‘sol dell’avvenire’, vedendo invece il socialismo come il cammino dell’effettiva liberazione umana”, dice ancora Occhetto.

Che si accende per i valori, che non sembrano tramontare: “La fine della ideologia come falsa coscienza non vuol dire fine della concezione del mondo, la fine delle tensione verso l’utopia del possibile”.

Il rinnovamento, per il Pci italiano, si misurava anche con l’autonomia da Mosca, dai sovietici. “Il primo che critica l’Urss direttamente fu Longo – ricorda Occhetto – condannando l’intervento di Mosca a Praga, dopo gli errori fatti sull’Ungheria, poi Berlinguer ha sistematizzato in modo organico il distacco critico da Mosca, arrivando a sostenere che la rivoluzione di ottobre aveva perso la sua ‘spinta propulsiva’, per affermare addirittura che si sentiva protetto dall’ombrello della Nato.

“Ma fino alla ‘svolta’, rimanemmo comunisti critici, ma parte di quel campo, solo con l’89 usciamo definitivamente”, dice Occhetto, parlando di quella svolta – la sua – della Bolognina, dopo la caduta del Muro di Berlino dell”89, che concluse la storia del Pci.

Per Occhetto può essere tempo di un bilancio: “Il nostro maggiore successo fu di essere l’asse portante della Resistenza, dalla quale poi nacque la migliore Costituzione d’Europa, il rammarico più grande fu la rottura, fu per la posizione dei fatti di Ungheria, nel ’56, noi rompemmo con i socialisti, che invece avevano ragione nel condannare Mosca e l’aggressione. Se avessimo preso posizione autonoma dall’Urss, come fece Nenni, allora, si poteva dar vita a un unico partito della sinistra”.

Luci e ombre, ma la convinzione che “oggi, dopo tanti anni, posso dire che benché siamo stati diversi come comunisti italiani, ma non innocenti, rispetto a tante nefandezze compiute dal blocco sovietico, malgrado questo, il Pci, storicamente, è stato l’ossatura della ricostruzione della democrazia italiana e dello sviluppo culturale e civile del paese”.

Infine Occhetto mette a fuoco la foto da cui partire, per raccontare la storia del partito: “”Sono le immagini dei partigiani che entrano a Torino per la sua liberazione, con alla testa ‘Barbato’, Napoleone Colajanni, un siciliano che comandava le Brigate Garibaldi”. “E’ quella, per me, la foto dell’inizio della storia del partito comunista, di quello che sono stati i comunisti in questo paese”.

“Con questo ricordo, da quell’inizio, quando faccio la ‘svolta’, mi rivolgo prima di tutto ai partigiani della Bolognina, a quelli da cui inizia la storia del ‘mio’ partito comunista”, conclude il compagno Occhetto, ultimo segretario di un partito che tra scissioni, ricomposizioni, cambi di nome, e qualche cambio di casacca, come si direbbe oggi, diede voce a milioni di italiani.

(di Francesco Saita)