PONTE MORANDI: SIAMO TUTTI CON LE FAMIGLIE DELLE VITTIME

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Sono arrivato tra le macerie del ponte Morandi venti minuti dopo il crollo. Non dimenticherò mai: la polvere ancora nell’aria, il camion crollato nel greto del torrente, le auto schiacciate dove negli abitacoli vedevi gli asciugamani e i costumi di chi si preparava per le vacanze. E le urla delle persone, me le sento ancora dentro.
Camminando tra le macerie non riuscivo a cancellare un pensiero: se qui sotto ci fossero le persone che amo.
Mi è successo anche arrivando di notte in via Ponchielli a Viareggio il 29 giugno 2009, mentre le case ancora bruciavano dopo l’esplosione del treno carico di materiale infiammabile.
Sono passati anni. In entrambi i casi sono in corso i processi (per Viareggio siamo arrivati alla conclusione).
Mi sono chiesto tante volte cosa avrei fatto al posto dei parenti delle vittime. Insomma, se di fronte a tanto dolore, alla disperazione avrei avuto le forze e l’interesse per seguire un processo. Mi sono domandato se non avrei provato addirittura desiderio di vendetta.
Poi ho conosciuto Egle Possetti che ha perso la sorella e i nipoti sotto il Morandi. Ho conosciuto Marco Piagentini e Daniela Rombi a Viareggio. E ho provato profonda ammirazione per la compostezza e la dignità con cui hanno condotto la battaglia in tribunale. Ho capito lo spirito che li ha animati in questi anni: no, il risarcimento non c’entra. E’ il bisogno di giustizia. E’ il bisogno di sapere che esistono sempre dei responsabili e non possono nascondersi dietro schermi societari, catene gerarchiche, prescrizioni e cavilli.
E’ la fiducia in uno Stato che ti tutela e difende le vittime di fronte ai più forti. A muoverli è il bisogno di non sentirsi lasciati soli.
Niente e nessuno, tantomeno i magistrati, restituiranno ai familiari le persone che hanno amato e sono morte sotto le macerie del Morandi. Egle, Marco e Daniela lo sanno bene, ma hanno fiducia ancora nella giustizia e nella comunità cui appartengono. Hanno fiducia in noi. Non possiamo lasciarli soli.