Rifiuti. A Roma servono piano industriale e assunzioni o sarà la Capitale dei rifiuti

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La crisi del sistema dei rifiuti della Capitale ha assunto dimensioni nazionali, ha attraversato le stagioni politiche e appare oggi irreversibile. L’ultima di queste stagioni, quella della Giunta Raggi, è stata caratterizzata da molta propaganda e pochi fatti.

Bisogna iniziare a dire ai romani e ai lavoratori la verità. Bisogna saper ammettere che i tempi per la chiusura del ciclo sono lunghi, che c’è bisogno di programmazione e risorse, che i risultati non possono essere immediati. E mentre si progetta bisogna adoperarsi per trovare soluzioni che permettano di sfruttare al meglio il potenziale inespresso.

L’arrivo del nuovo Cda dopo mesi di vuoto, se confermato dal reale insediamento, è già di per sé una buona notizia. Un fatto che quantomeno da una speranza, vista la mancanza di indirizzo e strategia sui temi più urgenti da affrontare in azienda.

Va da subito aperto un tavolo di crisi, non ci possiamo più permettere perdite di tempo, progetti spot e lontani dalla realtà. Abbiamo bisogno di concretezza e realismo. Di risposte sui bilanci, sulla delibera 52 mai modificata nonostante le promesse: senza assunzioni molti settori non saranno in grado di rispondere alle esigenze della città.

La partecipata dei rifiuti è a un bivio: darsi una strategia per tornare ad essere un soggetto industriale autosufficiente che guarda oltre i confini della Capitale o accettare il declino, diventando sempre più una stazione appaltante che gestisce per Roma Capitale la raccolta basandosi sugli introiti del contratto di servizio. Un’azienda gravata come Ama dalla dipendenza esterna e con oneri pesanti derivanti dai servizi dati in appalto è troppo fragile per resistere all’urto della Capitale. Questa fragilità economico-finanziaria – e l’esposizione agli “umori” di un mercato dello smaltimento che condiziona pesantemente le scelte aziendali permette di andare avanti, tra mille difficoltà, solo grazie alle rimesse del contratto di servizio.

Non raramente Ama si è trovata in situazione di grave ristrettezza, al limite dell’incapacità di pagare gli stipendi, e la mancata approvazione del bilancio consuntivo 2017 – e ormai anche di quello 2018 – non hanno fatto che peggiorare questo equilibrio precario. In troppi casi le pessime condizioni di lavoro hanno effetti non solo sulla salute degli operatori – con numeri allarmanti di lavoratori che non sono più in grado di operare su tutti i servizi – ma anche sull’offerta di servizi.

I cicli di raccolta inefficienti, e una cronica carenza impiantistica, provocano il riversarsi dei rifiuti su strada e obbligano gli operai di zona a effettuare il servizio base, ovvero la raccolta manuale, che in alcuni municipi di Roma arriva ad impiegare più del 20% della forza lavoro, con punte superiori al 30%. Un modo spossante di lavorare, ma soprattutto improduttivo, perché distoglie forza lavoro da altri servizi, che potrebbero essere effettuati in modo corretto, e dal decoro della città.

Da questo punto di vista l’introduzione del nuovo porta a porta, cavallo di battaglia della gestione Raggi, ha persino peggiorato la situazione. Serve evidentemente una riconnessione con la città, perché Ama e i suoi lavoratori hanno subito in modo violentissimo una retorica e una propaganda avversa che li ha troppo spesso additati come un problema.

Per ricostruire questo rapporto di fiducia con i cittadini è necessaria però una una risposta efficace sulla qualità del servizio. Va quindi chiusa la partita dei bilanci in modo definitivo e vanno chiarite le reali condizioni in cui versa l’azienda, le prospettive sui possibili investimenti – se sono ancora possibili quelli più urgenti su impiantistica e mezzi – e le condizioni in cui potrà operare nel futuro prossimo. Da Virginia Raggi ci aspettiamo un atto di responsabilità nei confronti della città.