Ti Bergamo – Una comunità: un seme per un futuro diverso

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di Sabrina Donadel

Quando, a metà del novembre scorso, durante il secondo lockdown che ha imposto la chiusura di numerose attività tra cui i luoghi di cultura, ho attivato Una sera al museo – un nuovo format attraverso il quale abbiamo visitato, in diretta dal mio profilo Instagram, i musei di arte contemporanea più importanti del Paese accompagnati dai loro direttori – ho deciso di partire proprio dalla GAMeC di Bergamo, che da poco aveva inaugurato Ti Bergamo – Una comunità, mostra fortemente simbolica in quel momento, che rifletteva sul senso di comunità. Comunità che ha fatto la differenza in un territorio che ha così sofferto durante i primi mesi di pandemia.

È stato emozionante accedere alle sale dell’esposizione, che pochi allora erano riusciti a vedere, e soprattutto farci guidare dal racconto di Lorenzo Giusti, il Direttore della Galleria, partendo dal titolo, che deriva da un disegno realizzato e donato al museo dall’artista rumeno Dan Perjovschi, per sostenere la campagna di raccolta fondi per l’Ospedale Papa Giovanni XXIII, che la GAMeC ha promosso attraverso i propri canali nel corso dell’emergenza sanitaria in città.

In quel momento gli eventi drammatici e i gesti di solidarietà si sono intersecati, dando vita a un flusso di azioni che hanno piantato dei semi per immaginare un futuro senz’altro diverso.

“È tornato ad avere valore il sentimento – ci ha detto Lorenzo Giusti – quel sentimento che l’arte contemporanea aveva un po’ messo da parte a vantaggio dell’intelligenza, dell’analisi, e questo cambio di passo lo si sta vedendo non solo negli artisti, ma anche in chi il lavoro degli artisti lo cura”. Ecco che, quando abbiamo visto in diretta la prima sezione della mostra, con una raccolta delle edizioni del quotidiano L’Eco di Bergamo accanto ai disegni sulla pandemia realizzati da Dan Perjovschi – tra i quali il gruppo pensato per la GAMeC rilanciato anche sui social del MoMA di New York durante il primo lockdown – siamo subito entrati nello spirito della mostra.

Ma è stato soffermarsi nell’Aula Magna, la sala del museo trasformata in aula scolastica, il vero toccare con mano quel seme voluto per un futuro diverso. La Galleria come luogo di formazione permanente, che accoglie le classi delle scuole del territorio, dove gli insegnanti sono invitati ad appropriarsi delle opere esposte per affrontare i contenuti delle proprie discipline, fare lezioni di arte o storia dell’arte ed educazione civica. “I care” (mi interessa), c’era scritto sulla lavagna dell’Aula Magna. Frase che nel tempo era stata cancellata dai segni che le persone avevano voluto lasciare utilizzando i gessetti sulla cattedra. Per molto – troppo – tempo la lavagna, orfana dei visitatori, è rimasta immutata, ma nelle ultime settimane, fortunatamente, è stato possibile lasciare di nuovo il segno del nostro passaggio. Un modo per dire “I care”.

fonte: telescope