Contro il caporalato si deve e si può fare di più

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caporalato

Quarantotto ore di inferno cominciate un sabato d’estate sulla provinciale 105 che da Ascoli Sartiano porta a Castelluccio Sauri e finite due giorni più tardi, verso le quattro del pomeriggio, su un’altra strada, la statale 16.

Fu così che a Foggia tre anni fa morirono 16 braccianti. Incastrati tra le lamiere dei furgoncini che li trasportavano alla fine di una giornata di lavoro, rossi di fatica, pomodoro e sangue. La legge 199 contro il caporalato aveva già un paio di anni. Era stata un’altra morte, quella di Paola Clemente, rimasta sfinita e senza vita nelle campagne di Andria, a spingere il legislatore ad accelerare su quelle norme, fortemente richieste e volute dal sindacato.

Il 13 luglio del 2015 è scomparsa ad Andria Paola Clemente, bracciante impiegata nell’acinellatura dell’uva. Una donna, una moglie, una mamma morta di sfruttamento e di necessità nella patria di Peppino Di Vittorio. Bisogna agire tutti insieme affinché questo non accada mai più

Da allora di
vittime del caporalato
ne abbiamo continuate a contare. D’inverno nei roghi accesi per scaldarsi, d’estate negli incidenti stradali e sotto il sole cocente. Tanto sfruttati quanto essenziali, pagati due o tre euro l’ora per giornate lunghe fino a 13- 14 ore, sparsi lungo tutta la penisola. Senza diritti, senza contratto, italiani e stranieri, schiavi di una schiavitù antica e contemporanea allo stesso tempo.

L’Osservatorio Placido Rizzotto, che di recente ha sottoscritto un protocollo con i ministeri degli Interni, del Lavoro e dell’Agricoltura, nell’ultimo rapporto pubblicato lo scorso anno, stima si tratti di almeno 200mila tra lavoratrici e lavoratori vulnerabili, esposti cioè al ricatto di chi lucra sulla loro fatica e sulle loro vite. Un fenomeno criminale sempre più spesso represso proprio grazie alla legge contro il caporalato, ma pur sempre radicato perché quella norma deve ancora dispiegare tutto il suo potenziale rimanendo in larga parte inattuata l’attività di prevenzione legata alla costituzione della rete del lavoro di qualità.

Sfruttati nei campi

Il caporalato – come ha intuito per prima la Flai Cgil, impegnata ormai da anni in una capillare attività di sindacato di strada con i camper dei diritti e in ogni ghetto dove l’emarginazione si sposa con lo sfruttamento – è parte di un sistema complesso che rientra negli affari delle agromafie, un’economia sommersa che, stando ai numeri delle commissioni lavoro e agricoltura della Camera dei deputati copre il 12,3% dell’economia totale per un giro d’affari di 24,5 miliardi di euro.