Come hub il porto di Gioia Tauro, i panetti di coca nascosti nelle scatole di banane che venivano dal Sudamerica, ma sul traffico, “vigilava” un funzionario dell’antifrode delle dogane, che truccava gli esiti dello scanner dove passava tutta la “merce”, quanto transitava per i containers
36 arresti per narcotraffico al porto di Gioia Tauro, nell’ambito di una vasta operazione che ha portato al sequestro di 4 tonnellate di cocaina.
Una vera “società di servizi” del crimine
L’organizzazione criminale – così i finanzieri – assicurava la “logistica del narcotraffico come se fosse una vera e propria società di servizi, articolata su tre distinti livelli di soggetti: esponenti delle principali famiglie di ‘ndrangheta, coordinatori delle squadre di operai portuali infedeli, che retribuivano la squadra con una “commissione” fino al 20% del valore del carico ed operatori portuali, materialmente incaricati di estrarre la cocaina dai containers.
Tutti, comunicavano con telefoni cellulari criptati.


