Il Recovery Fund resta un oggetto misterioso la cui storia deve ancora essere scritta
Dopo un anno e mezzo dallo scoppio della pandemia ancora non sono arrivate le prime risorse di questo famoso “Piano di Ripresa e Resilienza”. Intanto abbiamo già iniziato a sperimentarne gli effetti sulle riforme che ci sono imposte, vedi le semplificazioni sugli appalti o la vergognosa riforma Cartabia sulla giustizia.
Ma c’è di più, perché come ho sempre avuto modo di evidenziare, è tutt’altro che scontato che queste risorse poi arrivino tutte effettivamente. È passata inosservata la dichiarazione di Prodi, che invece avrebbe dovuto occupare le prime pagine di tutti i quotidiani, sul fatto che certezze che queste risorse arrivino non ci sono. Anzi, lo stesso Prodi lo dà addirittura come probabile. Fantastico.
A ciò c’è da aggiungere già il primo passo falso nella roadmap del piano. A metà luglio era prevista l’approvazione in commissione europea delle “risorse proprie”, come la web tax e la tassa CO2, con cui finanziare la parte di “sovvenzioni” da 338 miliardi di euro del Piano. Tutto rimandato all’autunno, e poi chissà. Senza maggiori risorse proprie (=nuove tasse europee) saranno gli stati membri a dover ripagare il recovery fund. Altroché fondo perduto.
La verità è che ci stiamo legando mani e piedi a Bruxelles, che ci detta per filo e per segno quali riforme effettuare, in barba a qualsiasi principio democratico secondo cui a decidere è il Parlamento sovranamente eletto, e lo stiamo facendo in cambio di una promessa di risorse – che ricordo andranno in ogni caso restituite, direttamente o indirettamente – la cui esistenza è tutt’altro che certa.
Presto i cittadini si renderanno conto che il Recovery Fund sarà stato per la gran parte una grandissima operazione di marketing in salsa europea.


