La filiconia è la passione per lo studio, la raccolta e la catalogazione di immagini sacre; la ricerca di queste effigi è oggi diventata un fenomeno sociale che non coinvolge più solo studiosi ma anche semplici appassionati, trasformandosi anche in un hobby alquanto diffuso.
Il termine è stato coniato dal professore Attilio Gardini, egli stesso collezionista di “santini”, come vengono comunemente chiamate queste immagini sacre; la voce deriva dall’unione dei due termini greci “filos” (amico, affetto, passione) e “eikon” (letteralmente che risponde al vero, usato da Platone in opposizione alla parola “copia”, per significare immagine originale, immagine buona). La scelta di collezionarli non è solo un passatempo, ma è spesso accompagnata da una vera e propria passione che coinvolge anche il cultore artistico ed il ricercatore storico.
Ancor prima dell’invenzione della stampa da parte di Gutenberg (1455) già circolavano xilografie (riproduzioni su carta da matrici in legno), anche con immagini di santi e sante. Si perde quindi nei secoli precedenti 1’origine della riproduzione e raccolta dei “santini”.
Uno dei primi documenti basilari di questo collezionismo è la xilografia della Beata Vergine Maria tra i santi che, uscita integra da un incendio (1428), viene oggi venerata nel duomo di Forlì col nome di “Madonna del fuoco”.
Nel `500, poi, le immagini di santi e sante vengono stampate partendo da incisioni prodotte con un bulino su lamine in lega di rame e vengono vendute a prezzi più accessibili, entrando nelle case e dando inizio ad un vero e proprio fenomeno di produzione di volti o figure intere (spesso di fantasia) rappresentanti quanti vissero nell’insegnamento dei Vangeli.
Col tempo la riproduzione delle immagini dei santi non si limitò solo all’aspetto devozionale ma divenne anche un’espressione artistica. Nascono cosi i canivet (dal termine francese canif, temperino), realizzazioni cioè in cui la carta (o la pergamena, o altro) viene intagliata, creando veri e propri merletti e pizzi ed ornamenti di fantasia, molto ricchi e piacevoli a vedersi. Tecnica questa che, col tempo, dai privati si trasferisce nei monasteri, dove le suore – con la fede e la loro sensibilità – creano immaginette tascabili che sono dei veri e propri capolavori.
La storia del canivet prettamente artigianale e manuale si chiude nel Settecento, quando la matrice creata dall’artigiano viene riprodotta industrialmente (dall’Ottocento soprattutto in Francia e Slovacchia). Dal 1840, poi, anche la mano dell’artista perde la supremazia, a vantaggio della stampa industriale a punzoni su carta, che risulterà così alla fine merlettata, e sulla quale viene poi incollata l’immagine riprodotta a parte.
Più tardi nascono le stampe a colori, che si diffondono in tutta Europa, tanto che nella sola Francia nel 1862 si contano 120 aziende che confezionano e distribuiscono “santini”.
L’imprimatur, ovvero l’accettazione da parte della Chiesa della preghiera stampata sul retro e l’approvazione della sua diffusione da parte di Roma, nasce nel 1700 circa con le autorità canoniche che esaminavano ogni tiratura di stampa censurando e correggendo inesattezze o errori.
Nel nostro paese uno dei più grandi collezionisti si chiama Bruno La Marra, vive in Campania ed ha raccolto più di 13mila “santini”.
I prezzi sono da valutare di volta in volta e caso per caso. I più rari (generalmente francesi, tridimensionali) vanno da 20 a 200 euro circa, ognuno.
Nella composizione fotografica – di proprietà dell’autore – da sinistra a destra, dall’alto in basso – n. 2 immagini con “ex indumentis” di Padre Pio di Pietralcina (25/5/1887-23/9/1963) e San Giovanni Bosco (16/8/1815-31/1/1888); n. 1 Prima Comunione del 7/5/1914; n. 1 Matrimonio del 11/5/1945; n. 1 Signora delle Rose con medaglietta tra n. 2 santini traforati: a sinistra Nostra Signora di Fatima ed a destra Maria Ausiliatrice, entrambe non datate.
Franco Cortese Notizie in un click



