Il Covid visto al microscopio dai detenuti del Casertano

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“Fuori ad un metro di distanza, dentro otto in una stanza”, recita così lo striscione davanti al carcere di Santa Maria Capua Vetere, quello costruito circa vent’anni fa senza una condotta idrica

L’acqua viene trasportata dalle autobotti o in bottiglie di plastica ma ironia della sorte tutti i reparti sono denominati con i nomi dei fiumi, Danubio, Tevere e Volturno solo per citarne alcuni. Il Senna e il Tamigi ospitano i detenuti che appartengono all’alta sicurezza femminile e maschile. Infine il Nilo, reparto di prima accoglienza, teatro di quella che la magistratura italiana ha definito una vera e propria mattanza.

Era il 20 aprile di due anni fa quando le prime sommosse partivano all’interno dell’istituto penitenziario Francesco Uccella di San Tammaro, ora raccontate dagli agenti della polizia penitenziaria e dai reclusi che hanno denunciato, nell’aula bunker adiacente l’istituto penitenziario. La paura per il nuovo virus che iniziava ad attanagliare le nostre menti prima che i nostri corpi ha fatto sì che la gestione della vicenda e l’incomprensione da parte dei detenuti per quello che poteva succedere ha portato ad uno scontro senza eguali.

Siamo alla terza ondata Covid, i casi positivi sono in netto aumento nelle carceri Casertane, sessanta a Carinola, ventitré ad Aversa, poco più di venti a Santa Maria Capua Vetere, si salva solo Arienzo, ex istituto per sole donne, ora maschile. La mancanza dei prodotti igienizzanti, la terza dose di vaccino che stenta ad arrivare non ha reso facile la situazione. Il blocco dei colloqui con i familiari che devono essere muniti di green pass ha ancor più acuito gli animi. Non c’è contatto umano e il carcere, diventato oramai una discarica sociale, ha difficoltà a risalire e ricominciare.

Le sinergie tra le istituzioni dovrebbero essere più concrete e fattive, non bisogna mettere la polvere sotto il tappeto ma coordinare chi in questo particolare momento vive una situazione di forte disagio. Un appello alla magistratura di sorveglianza, occorre sfollare le carceri, un appello alla classe politica, maggiori pene alternative per donare una seconda possibilità a chi vuole recuperare il proprio percorso di vita.

Emanuela Belcuore 

Garante detenuti Provincia di Caserta