VALLI DI LANZO (TO) – La descrizione dei costumi figli delle tradizioni, piemontesi in generale e delle Valli di Lanzo in particolare, non è cosa semplice a motivo della mescolanza di realtà e fantasia da cui hanno origine quelli che oggi ammiriamo, quasi privi di attinenze con la realtà (perché non documentata)
La società e il costume dell’800 nel mondo alpino erano, infatti, rigidamente codificati; in questo ambito l’abito era, più che una forma per abbigliarsi, una esemplificazione di un modo complesso di distinguersi e di appartenere ad una certa comunità comunale e parrocchiale con una precisa identità. I costumi folcloristici che oggi vediamo non sono però quasi mai esistiti, essendo per lo più inventati, frutto di una miscellanea di elementi usati nel passato e di componenti di nuova creazione. Solo nella seconda metà dell’800 il costume, specie quello femminile, venne considerato “identificativo”. Nelle Valli di Lanzo occorre giungere agli anni tra il 1970 ed il 1980 per riscoprire e valorizzare la loro identità francoprovenzale, grazie anche al contributo determinante dell’Effepi (Associazione di studi e ricerche francoprovenzali). Da allora sono cresciuti i gruppi di musica e danza tipici e le occasioni per indossare – dopo averli ricostruiti – gli antichi costumi.
La donna (madre, vedova o nubile) del passato non poteva assumere altro ruolo professionale (se non in senso trasgressivo con tutte le sgradite conseguenze) che quello legato alla gestione domestica. Ciò ha condizionato anche il suo abbigliamento. L’abito tradizionale femminile di queste Valli, infatti, con piccoli varianti da una comunità all’altra e piccoli accorgimenti distintivi per nubile o maritata, può essere considerato come di un solo tipo: un corpetto attillato con maniche strette o a sbuffo (in tessuto stagionale), con una lunga gonna e, sulle spalle, un grande scialle (fassoulàt) di seta o lana a triangolo, più o meno ricamato e frangiato, fermato sulla scollatura con un fermaglio (bròs o crùus) in oro o argento, per lo più a croce, calze di cotone o lana bianche o colorate con zoccoli (tchòcouless) o stivaletti (stivalìn).
Spesso veniva usato un grande, pieghettato e lungo oltre che ricamato grembiule (faoudàl) in seta o cotone, bianco o colorato, ornato da ricchi pizzi. Nell’intimo le donne portavano una sottoveste di canapa o di lana grezza bianca sotto la quale indossavano una camicia di tela di canapa, le mutande di canapa, cotone o piqué felpato, lunghe al ginocchio ed ornate di pizzo. L’abbigliamento festivo era completato da un sottogonna sotto la sottoveste, mentre, vivendo le donne per lo più in casa, era raro l’uso di mantelle. Vario infine il modo di abbigliare le acconciature: ricche, bellissime e ricamate cuffie più o meno elaborate (scuffie o ciosine), raccogli capelli (adjin) o cappelline (caplinne) arricchivano e completavano l’abbigliamento femminile. Una curiosità: in casa, per le mulattiere o d’inverno sul ghiaccio, spesso le donne calzavano un vecchio paio di calze di lana su cui erano stati cuciti vari strati di feltro (pioùn).
Ricerca e foto tratti da:
<> L. Straly, G. Inaudi, C. Santacroce “Il costume tradizionale” – Effepi, Associazione di studi e ricerche francoprovenzali – pubblicato nel luglio 2000 col contributo della Regione Piemonte.
<> C. Santacroce, O. Buonaiuto, F. Ciccaldo “Costumi delle Valli di Lanzo”, Ivrea, Ferraro, 1993.
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