Ricordiamo che una volta, quando Di Maio era “capo politico”, uno che aveva idee diverse dalla linea ufficiale veniva espulso. Domanda: si dimette anche da ministro? Perché è sempre grazie ai voti di iscritti ed elettori che ricopre quel ruolo. Ma piuttosto: perché Conte e Di Maio devono rimanere insieme? Di Maio è una colonna del partito di Draghi, con Giorgetti e altri. Conte è stato chiamato per riformare il M5S, non per portare l’acqua a Draghi (già assistito da innumeri e solerti volontari).
Forse brucia la regola dei due mandati, che azzopperebbe molti parlamentari dimaiani. Grillo interviene scrivendo che il M5S deve “passare dai suoi ardori giovanili alla sua maturità” e propone di mettere “limiti alla durata delle cariche, anche per favorire una visione della politica come vocazione e non come professione”. Di Maio è sicuramente diventato un professionista, se lo scrivono gongolanti i giornali dell’establishment.
Ma il disprezzo del M5S per “la politica come professione” è proprio uno dei segni della sua immaturità. Nel libro omonimo, del 1919, Max Weber sottolineava piuttosto un’altra distinzione: quella tra vivere “di” politica, cioè per lo stipendio, e vivere “per” la politica, cioè per passione e per il bene comune. Chi, lì, dentro, vive ancora “per”?
DANIELA RANIERI


