Così tutte le balle raccontate col consueto provincialismo sull’italiano che doveva dare le carte al tavolo dei potenti si sono rivelate per quello che sono: veline interne utili a tenere a bada i partiti, e a far disturbare meno possibile il manovratore. Ma ora che l’auto-candidatura e il dilettantismo nella partita del Quirinale hanno messo in chiaro la debolezza di Mr. Bce, il premier sparisce dalla scena, non solo internazionale. Anche nella sua maggioranza, infatti, la situazione è sfuggita di mano.
Il Centrodestra è a pezzi, diviso tra chi (Forza Italia) si aggrappa a Mario nostro nella speranza che arrivi alla fine della legislatura e chi lo contesta apertamente, con la Meloni e soprattutto lo scontro fratricida nella Lega, dove il segretario traballa sotto i colpi dall’ala governista e dei governatori. Il Pd, ben attento a non approfittarne, sta alla finestra, dove peraltro lo spettacolo di babbo Renzi che bastona il giglio magico del figlio è sicuramente divertente.
Certo, gli illeciti ci sono stati, ma solo per il 3% su questa misura, al contrario di altri incentivi sulle ristrutturazioni. Lo stesso premier, inoltre, avrebbe avuto tempo e modo di effettuare i controlli, o anche cambiare la legge, se solo se ne fosse occupato insieme agli uomini che ha piazzato in ognidove al Ministero dell’Economia, rimuovendo quelli scelti da Conte. Naturale che a Kiev vada Di Maio, mentre per Draghi il fronte è già a Palazzo Chigi.
Gaetano Pedullà



