Martedì Amato era in collegamento con Floris su La7: scrivania in radica di noce, quasi quirinalesca; bandiere; aquile; tagliacarte. Solennità da discorso di Capodanno.
Floris: “Non teme le polemiche per quest’intervista?”. Amato: “Bisogna che l’Italia un po’ si abitui che la Corte Costituzionale, oltre che a parlare con le sentenze, si adopra (sic, ndr) anche per spiegare le sentenze”. Andiamo bene. Forse è un disincentivo a proporre referendum per il terrore di doversi sorbire le conferenze a grappolo di Amato (che parla in quanto Consulta: “A me come Corte Costituzionale…”: la Corte c’est moi).
Ma il tema referendum è appena sfiorato: “I promotori non rappresentano il popolo”, dice, dal che si evince che per guadagnarsi la definizione di “popolare” un referendum deve essere chiesto da 60 milioni di persone. Gesticolando ampollosamente, Amato educe la nazione anche sui seguenti argomenti: guerra in Ucraina; pandemia; scienza; matrimoni omosessuali; genitori che picchiano gli insegnanti dei figli; trionfo del bene sul male. In attesa della lectio magistralis da Barbara D’Urso, vi pare normale che il presidente della Corte Costituzionale si metta a girare i talk show per discettare di attualità come un opinionista (peraltro credendosi Cesare Beccaria)? Proporremmo un referendum abrogativo della prassi testé inaugurata, se poi Amato non ci facesse una conferenza.
DANIELA RANIERI



