Crisi in Ucraina e impatti economici

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L’invasione militare su larga scala dell’Ucraina da parte della Russia, oltre alle immani e drammatiche conseguenze umanitarie, comporta inevitabili effetti economici

La guerra avrà un impatto chiaramente negativo sulla crescita globale, peggiorando il mix tra crescita e inflazione, ovvero conferendo alle prospettive macroeconomiche un tono di “stagflazione”: l’aumento dei prezzi delle materie prime alimenterà le pressioni inflazionistiche, e al tempo stesso farà da freno alla crescita abbassando il potere d’acquisto dei consumatori. Inoltre, sulla crescita impatteranno le sanzioni sempre più dure che vengono imposte alla Russia dai paesi occidentali. L’Eurozona, in questo quadro, rischia di essere una delle aree più colpita a causa degli stretti legami commerciali con la Russia e in particolare della sua forte dipendenza dalle forniture energetiche (gas e petrolio in particolare) di quest’ultima. Gli USA sono, da questo punto di vista, molto meglio posizionati.

È difficile quantificare gli effetti della guerra sull’economia dell’Eurozona dato che molto dipenderà dalla durata del conflitto e dalle sanzioni (comprese quelle in risposta da parte della Russia) che saranno imposte e soggette a continui aggiornamenti. Si stima che l’inflazione potrebbe essere più alta di circa 1 punto percentuale rispetto al periodo antecedente il conflitto, per il rialzo dei prezzi dell’energia. Sulla crescita, invece, la guerra e le sanzioni potrebbero avere un impatto negativo, quantificabile in un intervallo che va da -0.3% a -1%. L’Europa passerebbe da una crescita stimata (secondo previsioni attuali) del 4% al 3%. Tutto ciò perché da un lato farà da supporto l’effetto delle riaperture post-pandemia, sostenendo la domanda, e dall’altro si esclude un’escalation che possa portare a blocchi totali delle forniture verso l’Europa. Le sanzioni, infatti, al momento hanno escluso del tutto il settore energetico.

I recenti aumenti dei prezzi sia del petrolio che del gas vanno ad inserirsi su una tendenza già al rialzo esacerbando le spinte al rialzo sull’inflazione: per questo motivo diventa difficilissimo e importante il compito delle Banche Centrali, in un esercizio di equilibrio tra la necessità di rispondere all’inflazione e quella di evitare di innescare una recessione o anche solo danneggiare una crescita già impattata al ribasso dalla guerra. Il mercato, in questo momento, opta per la seconda ipotesi e pensa che la BCE sarà più lenta nel normalizzare gli stimoli, ritardando ad esempio il primo rialzo dei tassi. Discorso diverso per la Fed, dato che gli USA godono di un relativo isolamento geografico rispetto al conflitto e sono indipendenti dal punto di vista energetico: qui la concentrazione massima sarà sull’inflazione anche se il mercato ha leggermente riprezzato il numero di rialzi previsti per quest’anno.

I tassi continuano, di conseguenza, ad essere schiacciati tra la domanda verso i safe-heaven (pressione al ribasso sui tassi, in maggior misura in Europa, tanto che un calo “giornaliero” del rendimento sul Bund a 10 anni (-21 bps) non si vedeva dal 2011) e il tentativo delle banche centrali di normalizzare le proprie politiche di fronte all’accelerazione dell’inflazione.