Il fascino della biospeleologia

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Prima parte: Nascita e caratteristiche

Il termine “speleologia” deriva dal greco spélaion =caverna e lògos=discorso ed indica la scienza che studia tutti i fenomeni che avvengono nelle grotte e nelle cavità, la loro formazione e i loro sviluppi naturali. Essa include anche quei fenomeni che avvengono nel sottosuolo, tra cui il movimento delle acque sotterranee (idrologia ed idrogeologia) e la biologia (biospeleologia).

La speleologia attrae un notevole numero di persone, non solo speleologi, che la praticano come disciplina essenzialmente sportiva, organizzati in circoli e federazioni regionali.

La biospeleologia, anche detta ecologia sotterranea, a sua volta è la branca della zoologia che studia gli animali, grandi e piccoli, che vivono nelle grotte, i loro cicli vitali e gli adattamenti che permettono loro di vivere in un ambiente ipogeo tutt’altro che facile, privo di luce, sole, e spesso anche acqua.

La prima segnalazione di un interesse da parte dell’uomo per gli altri abitanti delle caverne è antichissima:  nelle grotte “Des trois frères” – nei Pirenei francesi – venne ritrovato un osso di bisonte sul quale un nostro antenato di 15.000 anni fa aveva raffigurato un insetto che ancora oggi si incontra facilmente nelle grotte, una cavalletta del genere Troglophilus (da trogo, grotta e philo, amico). Pur se il termine biospeleologia  fu coniato solo nel 1904, quell’ignoto antenato fu il primo bio speleologo conosciuto a “studiare la vita dentro la terra”.

Bisogna tuttavia attendere il Cinquecento per avere le prime descrizioni scientifiche di animali di grotta, anche se fu soltanto nel Settecento che gli studiosi si interessarono a questo ambiente in modo più diffuso e sistematico. La biospeleologia nacque nel 1907 con il lavoro del naturalista rumeno Racovitza (Iași, 15 novembre 1868 – Cluj-Napoca, 17 novembre 1947) biologo, zoologo, speleologo ed esploratore che diede la prima impostazione moderna a questo tipo di studi.

La biospeleologia inizialmente si occupava soltanto degli animali che vivono nelle grotte, ma con il progredire degli studi i ricercatori si sono resi conto che, per quanto riguarda gli animali più piccoli (come insetti, ragni e altri Artropodi) anche una piccola fessura o una valletta ombreggiata hanno le stesse caratteristiche dell’ambiente cavernicolo. Di conseguenza il termine biospeleologia ha ora un significato più ampio, interessandosi di tutte le forme di vita che occupano ambienti con caratteristiche simili a quelle delle grotte.

Sono migliaia le specie animali che in esse vivono – ragni, insetti, crostacei, vermi, ma anche vertebrati, come pesci ed anfibi – che gli studiosi suddividono in troglosseni (capitati per caso nelle grotte), troglofili (si sono adattati a vivere all’interno sebbene frequentino anche l’ambiente esterno, come i pipistrelli) e troglobi  (vivono permanentemente nelle grotte e non sarebbero più in grado di sopravvivere in ambienti esterni).

Siamo abituati, tramite la vista, a valutare distanze e rapporti, colori e movimenti nell’ambiente che percepiamo. Quando ci troviamo improvvisamente al buio, peggio se in luoghi sconosciuti o poco noti, siamo perciò assaliti dall’apprensione e dal disorientamento.

Eppure, le grotte, luoghi generalmente bui,sono un ecosistema ricco di vita, anche se non sempre immediatamente percepibile. L’uomo preistorico stesso aveva ritenuto le grotte luoghi più sicuri dell’ambiente esterno, luoghi nei quali si rifugiava al riparo dalle intemperie, dagli animali e dai nemici.
Anche se tratteremo con l’aiuto degli scritti di Enrico Lana (biospeleologo nato nel 1956, facente parte dello staff direttivo di Èntomon Environment dal giugno 2011 ed  amministratore della sezione di Biospeleologia nonché della sezione di Macrofotografia insieme a Marco Salemi) la vita nelle grotte, non va dimenticato che la maggior parte di specie interessanti vive negli spazi interstiziali del terreno posto  subito dopo le radici arboree, spazio ricco di micro-fessure, umidità e sostanze organiche, chiamato “ambiente endogeno”.

Cinque sono le caratteristiche che identificano un ecosistema cavernicolo: la totale o ridotta quantità di luce, la costante temperatura e il grado di umidità, una “popolazione  animale” relativamente semplice, la semplificazione della piramide alimentare ed un maggior grado di isolamento rispetto ad altri ecosistemi.

Oscurità, temperatura ed umidità sono i fattori più importanti che definiscono una grotta, ai quali vanno aggiunti altitudine e longitudine, natura delle rocce e caratteristiche dimensionali, soprattutto dell’ingresso, per la quantità di luce ed ossigeno che può lasciar passare. Un fattore ambientale abiotico (esterno alla vita) è la radiazione solare extraterrestre che influenza direttamente tutte le componenti di un sistema; l’acqua che ha scavato le rocce, o gli organismi che si alimentano di altri organismi  provenienti dall’esterno, risentono tutti delle radiazioni o del calore solare (energia).
La catena alimentare tipo, quindi, parte dai batteri, spore o pollini che col vento, l’acqua o trasportati da altri animali o per gravità, penetrano nelle grotte.

In alcune grotte oligotrofiche (caratterizzate cioè da un ambiente acquatico con povertà di sostanze organiche nutritive disciolte) la meravigliosa Natura ha posto delle specifiche flore batteriche che riescono a sintetizzare sostanze organiche dal regno inorganico, tramite i solfo, nitro e ferro batteri!

Nella foto: una bellissima immagine delle incantevoli grotte ipogee, lunghe 5km, di Verzino  (KR)

Franco Cortese