Personalizzare il pane, abbellire il burro

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Un’antica tradizione dell’arco alpino oggi quasi del tutto scomparsa

VALLI DI LANZO – Gesti contadini antichi ormai quasi del tutto scomparsi; piccoli strumenti di riconoscimento importantissimi; una forma creativa artistico-artigianale da vedere, comprendere e studiare.

Gli antichi gesti di decoro e marcatura, personalizzazione e abbellimento, non solo da vedere ma anche da usare, a noi tramandati da epoche molte lontane, da apporre su due fra i principali alimenti umani, il pane ed il burro, stanno del tutto scomparendo e tra pochi anni resteranno solo i musei e pochi collezionisti a custodirne il ricordo. Con molta sensibilità ed attenzione l’assessorato regionale alla cultura, allora guidato da Giampiero Leo, alcuni anni fa ha presentato al Circolo degli Artisti delle Valli di Lanzo 250 di questi pezzi, stampi che a volte sono delle vere piccole opere d’arte dell’intaglio, provenienti da collezioni pubbliche e da privati, con l’intendimento di far conoscere e valorizzare – mantenendone la memoria –  queste tradizioni che hanno accomunato, al di qua ed al di là delle Alpi, per secoli, i popoli che vivono intorno all’arco alpino.

Il freddo, la dura vita di quelle genti e le risorse finanziarie mai sufficienti per tutto, oltre alla sempre scarsa legna da bruciare, portavano a fare, anche 2 o 3 sole volte l’anno, il pane cuocendolo in grandi forni comuni, nei quali ognuno portava la propria quota di legna, con qualche rametto profumato (pino cembro). La cottura comune richiedeva così che ogni famiglia personalizzasse le proprie forme. Il consumo medio era di 1-2 kg di pane a testa al giorno, per cui le necessità annuali di una famiglia erano rappresentate da una ventina di infornate da 10 pani ognuna (ogni miccone di pane pesava circa 3 kg). Tenendo presente che il pane ed il latte erano la principale fonte di nutrimento dei pastori e dei contadini, si comprende perché un’attenta cura veniva posta per la completa essiccazione delle forme di pane, al fine di prevenirne l’ammuffimento; pane che veniva anche completamente essiccato e sbriciolato o grattugiato, per essere successivamente mescolato alle varie zuppe.

Analogamente, per la conservazione del burro ed evitarne l’irrancidimento, si cercava di spremere al massimo tutta l’acqua dal prodotto grezzo uscito dalla zangola; l’aggiunta del sale lo conservava per qualche mese, ma solo la completa evaporazione dell’acqua (dopo fusione) ne garantiva la conservazione per tempi più lunghi (circa l anno), in apposite forme di terracotta.

Per la vendita, venivano usate foglie di genziana, di bardana o di castagno, nelle quali i piccoli pani, da 150 grammi ad 1 chilo, venivano avvolti, contraddistinti con la decorazione del fabbricante. La fede, antichi simbolismi e credenze, ma anche un certo piacere estetico che costava poco, hanno trasformato nel tempo i grezzi segni di riconoscimento originariamente impressi per contraddistinguere una proprietà, in ricercate decorazioni sul burro e ammirevoli marcature sul pane, frutto anche di veri artisti dell’intaglio, in cui l’artigiano alpino è tradizionalmente molto abile. Era ricercato per questo un legno omogeneo che non lasciasse né sapori né odori e che si scalfisse facilmente. Ecco quindi l’acero ed il pero ma anche, seppur meno frequente, il faggio, il platano, la betulla, il noce ed il ciliegio.

Nelle Valli di Lanzo il legno più usato era ed è ancora oggi in qualche caso invece il bosso, legno durissimo che si leviga bene per le forme da burro. Ogni forma veniva tenuta per parecchi giorni in acqua, per rammollirla, prima di marchiare o decorare il burro: ciò evitava che esso si attaccasse al legno secco. Le forme, in decoro a rilievo o ad incavo rispetto alla superficie, nella loro realizzazione vedono prevalere il rosone (stella a sei petali) o la ruota (sole a vortice).

Le loro interpretazioni lasciano oggi gli studiosi ancora divisi, se si eccettuano i disegni più semplici. Rosone e ruota, ad esempio, sono letti come simboli del cielo e della terra, con in comune il cerchio; il cuore rappresenta la vita, l’amore, la passione per quel lavoro.

Da quelli più ingenui fatti con punte di forchette o di coltello, col tempo si passa ai fiori, alle geometrie creative, alle varie forme di croci e di corone; nascono anche i primi disegni di animali a soppiantare le originarie iniziali della famiglia. In epoche più recenti le cooperative di produzione o gli alpeggi più grossi hanno spaziato con alcune forme più complesse e personalizzate, ma di certo non tutto è chiaro e molti di questi “segni” restano ancora da interpretare, nella loro spontaneità ornamentale creativa. Magie propiziatorie con occhio all’aspetto commerciale: è noto che una forma di burro o di pane ben confezionata si vende meglio.

Poi, ecco arrivare le noterelle igieniche, i regolamenti sanitari, le leggi “protettive delle necessità ed esigenze del consumatore” a dare il colpo finale a questi antichi riti di cui si hanno tracce certe sin dal lontano ‘500. A questo punto sono in pochi a resistere nel tenere viva la marchiatura ed il burro ed il pane perdono la loro “anima” ancestrale data da una semplice ma efficace idea, e questi oggetti non parlano più la lingua della tradizione. Qualche stampo, moderno, si trova oggi in alcuni negozi di souvenir per turisti, ma con disegni poveri di fantasia. La cottura del pane collettivo d’altronde non si fa più, per cui di quell’epoca rimangono tracce concrete solo in qualche tradizione religiosa o folcloristica locale, in alcuni paesi intorno alle Alpi.

Il bel catalogo in materia: “Marcare il pane, decorare il burro: gesti e stampi nella vita quotidiana”, arricchito da tante e chiarissime foto, è stato edito dalla Regione Piemonte, Assessorato alla cultura nel gennaio 1998 per i tipi di Priuli & Verlucca editori. Chissà se ne esistono ancora degli esemplari!

Franco Cortese  Notizie in un click