Rita Bernardini: “Il carcere italiano è fuori da ogni legalità, il 41bis è una tortura democratica”

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Rita Bernardini, presidente dell’associazione “Nessuno tocchi Caino”, ribattezzata «la madrina delle carceri».

«Più che un soprannome è una medaglia. Sono i detenuti che mi chiamano così, oppure “Zia Rita”. Vanno bene entrambi: io non ho figli, ed è come se molti di loro, per me, lo fossero».

Perché ancora un referendum radicale sul carcere, ancora sulla custodia cautelare?
«Perché dopo mezzo secolo abbiamo vinto tante battaglie, abbiamo costretto ad accorciare i termini della custodia, ma quell’abuso giuridico è ancora lì. E va abrogato».

Non esiste la reiterazione del reato?
«Quasi mai. Questa valutazione viene usata, in combinazione con le altre, come strumento per infliggere una pena indebita: il carcere per chi non è condannato».

Lei vuol dire che i magistrati sono sadici?
«Non necessariamente. Ma è molto comodo sbattere uno dentro per farlo parlare».

Non ha paura che dicano: i radicali aiuteranno i colpevoli a farla franca?
«Per nulla. Noi siamo quelli che difendono i diritti di tutti, e in particolar modo di chi, accusato ingiustamente, si vede imposto il carcere preventivo. Ci sono mille ingiuste detenzioni all’anno».

Mi faccia un esempio.
«Le basti sapere che molte persone fanno il 41-bis per anni in custodia cautelare. Per anni. Le pare possibile?».

Non dovrebbe accadere.
«Ma accade. E io queste persone, quando entro nelle carceri, le trovo tutte».

Un regime durissimo.
«In isolamento per 22 ore al giorno. Come si fa a non impazzire?».

Sulle 24 di una intera giornata.
«Esatto. Tutta la vita, di fatto. Le uniche due ore fuori dalla cella – per chi è in quel regime – sono: un’ora d’aria, che fai con altri tre al 41-bis, e una di socialità con altri due al 41-bis!».

È un regime pensato, e giustificato, con l’esigenza di impedire i contatti dei boss mafiosi con l’esterno.
«Primo: se sei in custodia cautelare, non sei condannato in via definita, quindi non puoi essere considerato “mafioso”».

Secondo?
«Se non puoi vedere nemmeno i tuoi parenti, non è prevenzione: è una “tortura democratica”. Noi radicali la chiamiamo così».

«Tortura» è una parola durissima.
«Senza una sentenza che ti dichiari colpevole? Sa perché uso la parola “tortura”? Nel carcere di Badu ’e Carros (a Nuoro, ndr) non hanno neanche la luce naturale in cella».

Ma questo non è previsto dal regime del 41-bis.
«Però l’ho visto io, due giorni fa. Oltre alle grate, oltre alle sbarre, ci sono le “gelosie”».

Prego?
«Le “gelosie” davanti alle finestre delle celle: paratie metalliche con copertura a scaletta. Una ulteriore barriera verso la luce. E sa cosa accade poi?».

Lo posso immaginare.
«I detenuti perdono la vista: cosa c’entra questo con la giustificazione che non devi far passare messaggi all’esterno?».

Lei sostiene da anni che questo carcere sia inutile. Provi a spiegare perché.
«Il carcere italiano è fuori da ogni legalità costituzionale. Poi è criminogeno, perché forma i futuri delinquenti, invece che recuperarli alla vita civile».

Esiste in tutto il mondo…
«… Ma in pochi Paesi democratici è folle e privo di senso come le racconterò tra breve».

Luca Telese