Fino a una settimana fa l’azionario e i bond scendevano in perfetta sincronia, mentre assistevamo alla risalita dei tassi reali e delle materie prime, segno del timore da parte dei mercati per la stagnazione
Negli ultimi giorni il vento è decisamente cambiato con l’obbligazionario (in particolare il segmento governativo) e i tassi reali che hanno invertito la tendenza e le materie prime (in particolare quelle cicliche) sono calate. Anche in Europa la dinamica dei tassi è completamente cambiata e i rendimenti sono scesi, in correlazione con quelli USA. Il Bund ha visto il rendimento calare vistosamente e il BTP ha fatto ancora meglio, con lo spread in netto calo ben sotto la soglia psicologica dei 200 punti.
Cosa è successo?
Sostanzialmente il mercato sta iniziando a temere una recessione, dato che non mancano i venti contrari: possiamo affermare che il top della crescita è ormai alle spalle, ci troviamo nel bel mezzo di una crisi geopolitica (guerra) e l’attività economica deve affrontare potenziali seri problemi in Cina. I gestori potrebbero aver iniziato una rotazione dall’azionario (penalizzato dai timori di rallentamento dell’economia e dalle ripercussioni sugli utili attesi) all’obbligazionario in virtù dei tassi raggiunti da quest’ultimo e della speranza che l’inflazione possa segnalare un picco e recedere progressivamente.
Se quindi l’inflazione e la conseguente stretta monetaria delle banche centrali erano state l’incubo dei titoli di stato globali nella prima parte dell’anno, mentre le borse scendevano nel timore della stagflazione, ora pesare è sempre più il rischio recessione. E questo sentore è dimostrato dall’andamento delle aspettative di inflazione nei prossimi 10 anni: negli Stati Uniti sono scese dal massimo di circa il 3% al 2.63% attuale. Ancora più marcato il calo delle aspettative di inflazione media dei prossimi 5 anni: dal massimo del 3.73% al 3% attuale. Anche in Europa gli investitori stanno riducendo le aspettative sull’inflazione futura.
Quelle in un arco decennale sono scese dal massimo del 2.49% toccato il 2 maggio al 2.16% attuale. La matrice del calo dei rendimenti sembra quindi essere la percezione del mercato che la FED non riuscirà affatto a gestire un “atterraggio morbido” dell’economia, ma finirà col causare un significativo rallentamento.
Il CPI USA uscito in settimana non è poi andato in direzione di un segnale di picco, deludendo le attese: l’headline ha rallentato ma il dato core ha superato le stime di 0.2% ed è rimasto agevolmente sopra il 6% anno su anno. Certo, gli effetti base permettono un calo dei dati anno su anno da marzo, ma un’analisi dei dettagli sembra indicare che le pressioni non sono in via di esaurimento.
Ai cali delle auto usate e del vestiario ha fatto da contraltare la categoria degli alloggi (peso di quasi il 40% dell’indice) con un incremento molto solido. E i prezzi di certi servizi, come le tariffe aeree, sono stati spinti dalla ripresa post limitazioni Covid.


