Sallusti: come comico involontario è un fenomeno

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Una delle grandi doti di Alessandro Sallusti è la totale e ostentata mancanza di onestà intellettuale. Questo valore fondamentale – non solo per i giornalisti – costringe ad avere dubbi. Rallenta, appesantisce. Sallusti non ha questi problemi e ne è felicissimo. Uomo – fuori da tivù e lavoro – garbato e simpatico, dotato di buona penna (meglio leggerlo che ascoltarlo), Sallusti è la classica persona che ti offrirebbe un aperitivo col sorriso sulle labbra, per poi accoltellarti lavorativamente alle spalle con assoluta serenità.

Votato al berlusconismo con lo stesso trasporto messianico con cui Tinto Brass esaltava la bellezza totalizzante del fondoschiena femminile, Sallusti piega le sue opinioni alla bisogna. Se conviene dire “bianco” dice “bianco”, se è più utile (a lui e a chi lo paga) dire “nero” dice “nero”. In questo è uno dei più bravi in Italia: la sua faccia tosta nell’essere compiaciutamente cortigiano è da Oscar.

Se Berlusconi (o derivati) sono accusati di reati poco meno che efferati, e magari ci sono pure condanne definitive di mezzo ad attestarne le colpe, lui spacca il capello (che non ha) in quattro e parte con improbabili supercazzole balbettanti. Se invece a essere oggetto di polemiche (senza ipotesi alcuna di reato) sono persone che detesta (per convinzione o per obbedienza), ecco che spunta il Sallusti spietato, che fiuta l’odore del sangue e sogna il rogo per i Travaglio, i Montanari e chi vi scrive. Se la disonestà intellettuale volasse, Sallusti sarebbe un Boeing.

Debolissimo come opinionista televisivo (non ha mai la battuta pronta, balbetta, è lento e palloso nell’esposizione), Sallusti è invece cintura nera di paraculismo. Per anni ha inzuppato il biscotto nelle canizze scorrettissime dei Porro & Giletti, poi però due sere fa ha giocato al pasionario della democrazia. Sallusti era fino a ieri più putiniano di Putin, come del resto Berlusconi, ma nel Paese senza memoria non conta.

E così, dopo aver visto l’ennesima figura da Giletti di Giletti, trattato come il poro schifoso dalla portavoce di Lavrov in una poracciata monumentale, Sallusti ha calato la carta dell’indignato. Ha parlato di “Palazzo di merda”, dato della “cretina” a Maria Zakharova, battezzato come “coglioni” i due pali accanto a (quel che restava di) Giletti, rinunciato al gettone pattuito (che eroe!), chiamato “utile idiota” Cacciari e abbandonato il collegamento. Qualcuno, in quello scantinato bonsai del disagio chiamato Twitter, ne ha pure plaudito il coraggio. Certo, come no: il “coraggio” di scoprire adesso chi sia Giletti e come funzionino i suoi mefitici avvelenamenti di pozzi.

Sallusti ha poi un’altra dote: non sa quasi mai nulla di nulla. E la sua ignoranza lo rende ancor più leggero e sbarazzino. Sallusti è quello che discute di giustizia e trattativa Stato-mafia, ma non ne sa niente (se non quello che gli hanno dettato Ghedini e Dell’Utri). Sallusti è quello per il quale l’Ucraina non confinava con la Polonia, eppure è ancora lì a recitare la parte del geopolitico. Sallusti è quello per cui Salvini dovrebbe provare imbarazzo nel “pensarla come Travaglio, Orsini, Santoro e Scanzi”, e pare non sapere che a) Salvini non ha pensieri, dunque nessuno può pensarla come lui, b) Travaglio, Orsini, Santoro e Scanzi (chi?) hanno pareri tutt’altro che identici sulla guerra in corso

. Sallusti è però da sempre allergico a dubbi, sfaccettature e complessità di pensiero. Per questo fa di tutta l’erba un fascio, meglio ancora se littorio. Molti lettori del Fatto detestano Sallusti. Sbagliano: come comico involontario è un fenomeno.

Andrea Scanzi