Votato al berlusconismo con lo stesso trasporto messianico con cui Tinto Brass esaltava la bellezza totalizzante del fondoschiena femminile, Sallusti piega le sue opinioni alla bisogna. Se conviene dire “bianco” dice “bianco”, se è più utile (a lui e a chi lo paga) dire “nero” dice “nero”. In questo è uno dei più bravi in Italia: la sua faccia tosta nell’essere compiaciutamente cortigiano è da Oscar.
Se Berlusconi (o derivati) sono accusati di reati poco meno che efferati, e magari ci sono pure condanne definitive di mezzo ad attestarne le colpe, lui spacca il capello (che non ha) in quattro e parte con improbabili supercazzole balbettanti. Se invece a essere oggetto di polemiche (senza ipotesi alcuna di reato) sono persone che detesta (per convinzione o per obbedienza), ecco che spunta il Sallusti spietato, che fiuta l’odore del sangue e sogna il rogo per i Travaglio, i Montanari e chi vi scrive. Se la disonestà intellettuale volasse, Sallusti sarebbe un Boeing.
E così, dopo aver visto l’ennesima figura da Giletti di Giletti, trattato come il poro schifoso dalla portavoce di Lavrov in una poracciata monumentale, Sallusti ha calato la carta dell’indignato. Ha parlato di “Palazzo di merda”, dato della “cretina” a Maria Zakharova, battezzato come “coglioni” i due pali accanto a (quel che restava di) Giletti, rinunciato al gettone pattuito (che eroe!), chiamato “utile idiota” Cacciari e abbandonato il collegamento. Qualcuno, in quello scantinato bonsai del disagio chiamato Twitter, ne ha pure plaudito il coraggio. Certo, come no: il “coraggio” di scoprire adesso chi sia Giletti e come funzionino i suoi mefitici avvelenamenti di pozzi.
. Sallusti è però da sempre allergico a dubbi, sfaccettature e complessità di pensiero. Per questo fa di tutta l’erba un fascio, meglio ancora se littorio. Molti lettori del Fatto detestano Sallusti. Sbagliano: come comico involontario è un fenomeno.
Andrea Scanzi


