Le condizioni perché questo avvenga compiutamente sono molteplici. Occorre anzitutto un’idea originale, un modello di società inedita da proporre e realizzare; occorre poi un potenziale segmento di mercato politico da aggregare intorno a questo modello, in base a pulsioni ideologiche e interessi concreti; occorre un leader possibilmente carismatico e un gruppo di avanguardia possibilmente coeso che, impersonando sia l’idea portante, sia l’organizzazione complessiva, elabori le strategie e fornisca le direttive; occorre un personale amministrativo che traduca le direttive in azioni organizzate; occorre una macchina comunicativa capace di alimentare il sistema informativo interno e le sue interazioni con l’esterno; occorre una precisa individuazione dei concorrenti e degli alleati; occorre un network di rapporti con tutto il macrosistema economico, politico, amministrativo, religioso e mediatico, nazionale e internazionale;
occorrono i mezzi finanziari per coprire le spese di tutto questo apparato tenendo conto che i movimenti possono contare sullo slancio disinteressato dei suoi membri mentre il partito costa perché basato sulla razionalità weberiana dei gruppi d’interesse.
Il “manifesto” di Di Maio, esposto martedì, è un remake di quello di Calenda, che a sua volta è un remake più spocchioso e leggermente più colto di quello di tutti gli altri manifesti che increspano l’ovvietà dell’arco politico italiano. Rifiutando il radicalismo, che lo aveva innalzato al 33%, Di Maio rientra nei ranghi del perbenismo borghese, in quel recinto che negli ultimi tempi ha lodato la sua “maturazione” e che ora, dopo averlo addomesticato, si appresta a sbranarlo.
Fuori del recinto resta Conte con i tre quarti dei 5Stelle. Sono pochi o molti per farne un partito di belle speranze? Dipende in gran parte da Conte, perché tutte le condizioni enumerate sopra valgono anche per lui. I settori dell’emiciclo politico sono tutti affollati, tranne quello in cui dovrebbero trovare voce e difesa i 12 milioni di poveri, precari, disagiati che il neoliberismo si incarica di ingrossare di giorno in giorno. L’ultimo che se ne interessò fu Berlinguer e il suo Pci; gli onesti partitini a sinistra del Pd non riescono a intercettarli; il Pd li ignora, infarcito com’è di neoliberisti.
Dire senza retorica quale società inedita intende costruire, ritagliare con precisione i ceti sociali cui intende rivolgersi, confessare con quale livello di radicalità intende procedere dopo avere scelto definitivamente l’unico campo disponibile e giusto: quello a sinistra del Pd. Stringere poi i contatti necessari con tutti gli interlocutori internazionali, a partire da Mélenchon.
DOMENICO DE MASI



