Davanti allo spettacolo andato in scena nell’aula di Palazzo Madama, dei partiti comizianti, l’un contro l’altro armati, sembrava che l’ex premier dicesse: vedete che avevo ragione io ad andarmene senza voltarmi indietro? Il medesimo sollievo che deve aver provato Giuseppe Conte quando la capogruppo 5Stelle, Maria Castellone, ha pronunciato la frase che da mesi il M5S (o ciò che ne resta) si teneva in gola: togliamo il disturbo.
Finisce mestamente per Silvio Berlusconi, che ha barattato una serena vecchiaia all’ombra di Draghi con il ruolo decorativo di trumeau, accanto al camino con la fiamma tricolore. Finisce male, malissimo per Luigi Di Maio, artefice della strepitosa trovata che ha mandato tutto in vacca, Farnesina compresa. Ci voleva uno stratega dell’autogol per attivare con la geniale scissione il terremoto nel M5S, che ha provocato una reazione a catena tipo Chernobyl.
Da oggi il suo partitino potrà chiamarsi: Insieme senza più un futuro. È andata male, ma poteva andare peggio, al Pd di Enrico Letta, non più azionista di riferimento del governo dei Migliori e che dunque potrà evitare di pagare il salatissimo prezzo delle vaticinate sei, sette ma forse anche otto piaghe d’Egitto prossime venture.
Lo attende un’opposizione con i popcorn se dovessero ricadere tutte addosso a un governo Meloni-Salvini. Si dirà: e per gli italiani – le cui disgrazie sono state continuamente citate da un Senato in gramaglie per i destini del Paese – come è andata? Ma quali italiani? Basta con questa demagogia!
Antonio Padellaro



