«Si avvicina il voto e il Pd torna a evocare sul nome della Meloni lo spettro del fascismo».
Lo dichiara Vittorio Sgarbi, leader di «Rinascimento, che così osserva:
«Qualcuno ricorderà che, nella sua fase democratica, il tardo democristiano Enrico Letta si misurava e dialogava con Giorgia Meloni, nata nel 197, presidente del partito dei conservatori e riformisti europei.
Oggi, con atteggiamento discriminatorio e non democratico rispetto a un partito consolidato nell’arco costituzionale, e in più occasioni al Governo, dichiara: «O noi o la Meloni». Leader uomo, con leader uomini, contro un leader donna.
Come improvvisamente un leader democratico – afferma Sgarbi – debba adesso essere inteso come “il” nemico, è l’espressione del percorso mentale e non democratico di quanti alle indicazioni del popolo preferiscono i commissari come Draghi, di cui – come unico argomento della campagna elettorale, ignorando tasse, guerra, giustizia – si ritengono vedove.
E’ la linea che accomuna Di Maio, Toti, Calenda e Letta e gli ex berlusconiani che non hanno imparato riconoscenza e disciplina da Giorgetti: si può infatti stimare Draghi, come molti nel centrodestra ma, considerato che si è dimesso, valutare che la democrazia non è fatta di aut aut minacciosi contro una donna capace, ma di consenso, che si ottiene con le idee, uscendo dall’emergenza dei commissari per il Governo degli eletti. Maschi e di sinistra.
Certo di perdere – conclude Sgarbi – l’asse delle vedove invoca adesso l’antifascismo, come se gli elettori ci credessero. L’antifascismo ha senso quando il fascismo c’è, e non ci sono le elezioni»


