Lega, Fratelli d’Italia e Forza Italia, lo schieramento indicato come probabile vincitore alle Politiche del prossimo 25 settembre, stanno ultimando il documento programmatico che assieme alle liste e alle candidature dovrà essere formalizzato entro il 22 agosto, affinché la campagna elettorale possa avere successivamente inizio agli effetti pratici e di legge
Uno dei temi dominanti è la flat tax, che tradotto significa tassa piatta, ossia una aliquota secca e sostanzialmente unica applicata a tutti i redditi personali (e aziendali nel caso di ditte individuali) senza differenza di scaglioni.
Va da sé che, negli ordinamenti in cui è stata introdotta, con l’obiettivo duplice di attrarre capitali d’investimento e di favorire l’emersione dell’economia irregolare (che laddove non viziata da illegalità si caratterizza per una evasione di sopravvivenza), la flat tax è stata in un secondo tempo corretta con elementi tesi a favorire la sua progressività indiretta, per esempio con forme di deduzione forfettaria a favore dei redditi più bassi, in modo da rendere più sostanziale il beneficio delle maggiori risorse a disposizione del contribuente medio, beneficio altrimenti sbilanciato verso i redditi più alti.
Questo premesso, non è chiaro quale delle tre proposte di flat tax sarà quella prevalente, o se alla fine vi sarà un mix di tutte che, va ricordato, se rese operative rivoluzionerebbero del tutto l’attuale architettura dell’imposta diretta IRPEF.
Forza Italia, con Silvio Berlusconi, torna a proporre una tassazione piatta universale del 23 per cento applicata a tutte le categorie reddituali: si tratta dello stesso punto di esordio della discesa in campo del cavaliere del 1994. Inevitabile qui la replica di Marattin, deputato vicino a Matteo Renzi ed esponente del terzo polo di Italia viva: il passaggio al 23 per cento colpirà anche le ritenute d’imposta o le imposte sostitutive dell’IRPEF oggi fissate al 10 o al 12,50 per cento (come nel caso degli interessi attivi e dei rendimenti sui titoli di Stato) colpendo così ancora una volta il risparmio medio?
Il leader della lega Matteo Salvini insiste invece su una flat tax al 15 per cento su tutti i redditi da lavoro autonomo e dipendente fino a 100.000 euro annui. In tal modo, però, sarebbe improprio parlare di tassa piatta poiché la riforma leghista consisterebbe nel fissare un maxi scaglione iniziale agevolato. Non è dato sapere se al suo interno saranno previste delle forme di diversificazione progressiva. L’ex ministro degli interni spiega che il principale finanziamento dell’aliquota IRPEF appiattita al 15 per cento arriverebbe dai proventi della pace fiscale: quei 1100 miliardi di euro di cartelle esattoriali che formano l’incubo di 20 milioni di Italiani e di cui solo il 6 per cento può essere effettivamente recuperato, a detta della stessa agenzia entrate riscossione.
Quindi con una operazione di mega rottamazione a un’aliquota media del 6, potrebbero essere recuperati una settantina di miliardi da investire nella flat tax leghista.
Più caute le proposte fiscali di fratelli d’Italia, che probabilmente sentono già su di essi l’onere del governo e di dover negoziare con Bruxelles aiuti, sostegni e concessioni all’Italia: il partito di Giorgia Meloni, attraverso il proprio responsabile economico Maurizio Leo, prevede una flat tax di tipo “incrementale”, dove il 15 per cento troverebbe applicazione soltanto alla quota di reddito eccedente il livello dichiarato nell’anno precedente. Più circoscritta anche la visione della pace fiscale: essa sarebbe limitata ai periodi immediatamente precedenti lo scoppio della pandemia, prevedendo la restituzione della sola imposta iniziale dovuta nell’arco dei cinque anni successivi con l’aggiunta di una sanzione forfettaria del 5 per cento.
Un punto è certo: senza una seria pace con l’erario e con l’agenzia delle entrate – perché quelli realizzati fino a oggi sono stati solo degli armistizi parziali – sarà molto difficile fare ripartire un’economia nazionale diffusa e parcellizzata fondata su milioni di partite Iva. Va infatti evidenziato che quello che in gergo spesso sprezzante (a torto) viene chiamato condono o amnistia fiscale è il solo strumento in grado di rimettere a posto i conti con il passato e di rendere di nuovo tracciabile una importantissima fonte di ricchezza, patrimoniale e reddituale, altrimenti destinata a rappresentare un doppio costo: per la comunità legale in crisi di liquidità e per gli enti statali chiamati a sostenere oneri di accertamento talvolta più alti del credito da riscuotere.
Dir. politico Alessandro ZORGNIOTTI




